L'accordo siglato alla fine di gennaio tra sindacati,
governo e organizzazioni degli imprenditori ha chiuso un periodo di
tensioni sociali aspri e difficili. Non certo nel senso che sono risolte
tutte le questioni che avevano portato a uno scontro sociale quale da
decenni non si viveva in Italia, ma nel senso che si è sgombrato
il campo da un pregiudizio troppo pericoloso.
Il rifiuto della Confindustria a trattare
per il rinnovo dei contratti di importanti e numerose categorie di lavoratori
se prima non si affrontava la questione della scala mobile era infatti
una mina vagante che ora, almeno, è stata disinnescata. Infatti
che le tensioni sociali crescano in un. periodo di crisi duro come questo
e in gran parte inevitabile (soprattutto se le misure anticrisi sono
studiate in modo da colpire settori ampi del popolo lavoratore). Tali
tensioni possono perņ diventare cause di minacce pericolosissime per
la vita democratica se le si affronta col metodo del braccio di ferro
piuttosto che con quello della discussione e della trattativa
Questo rischio sembrava - almeno in larga parte - sventato. La trattativa
lunga e difficile, condotta anche con la mediazione del ministro Scotti,
ha portato con l'accordo ad alcuni punti fermi. Innanzitutto l'intesa
sulla scala mobile ha sbloccato la dialettica sindacale: i contratti
di categorie importanti come quelle dei metalmeccanici possono entrare
ora nella fase delle trattative tra le parti. In secondo luogo il governo
è impegnato a riesaminare alcuni punti di quei decreti fiscali
che avevano trovato ampia opposizione, non solo tra i lavoratori occupati,
ma anche in altre importanti categorie come i pensionati e gli artigiani.
Naturalmente né quello dei contratti, né quello dei decreti
governativi sono terreni « tranquilli »: nuovi contrasti
e tensioni sono lì dietro l'angolo, ma ora sono almeno questioni
che si possono affrontare con le armi tradizionali del confronto, sia
esso sindacale o parlamentare.
Si tratta di un obiettivo comunque significativo. Ad esso si è
arrivati dopo settimane assai difficili. A testimoniarlo stanno l'asprezza
del confronto tra le parti sociali: lavoratori qui, imprenditori là.
Ma a testimoniarlo ci stanno anche gli sfilacciamenti che si sono prodotti
all'interno delle due parti. Sul fronte della Confindustria si sono
verificati forti contrasti e minacce di spaccatura aperta. Sul fronte
dei sindacati, l'unità tra CGIL , CISL e UIL non è mai
stata così in pericolo, così carica di polemiche.
E anche tra sindacati e lavoratori si è aperto un contenzioso
serio. Le stesse assemblee di consultazione sull'accordo siglato a Roma
dicono che ampi settori della classe operaia e alcune grandi fabbriche,
come l'Ansaldo, chiedono di contare di più, di poter decidere
di più in un sindacato rinnovato dal punto di vista della democrazia
interna. Non si tratta di una crisi di sfiducia generalizata verso il
Sindacato ma certo di un segnale importante: quello che i lavoratori
ritengono - di fronte alla gravità della crisi - di dover aggiornare
anche i propri strumenti di lotta a partire dal sindacato stesso.
Lo scontro sociale culminante nelle giornate e nelle manifestazioni
di gennaio non è dunque chiuso, ma avviato su una strada non
minata da pregiudiziali e sulla quale è possibile trovare nuove
soluzioni. A questa fase la classe operaia si presenta ancora una volta
come una forza indispensabile per operare scelte importanti nel rispetto
della democrazia.
Gli operai, infatti, hanno fatto intendere chiaramente di essere disposti
a partecipare a una politica di sacrifici, ma in un quadro generale
di giustizia e di equa ripartizione degli
sforzi. L'hanno fatto con fermezza, con una partecipazione larghissima,
ma senza nulla concedere ai nemici della democrazia e ai tentativi di
divisione o di provocazione, che pure non sono mancati.
E, sulle piazze e nella coscienza del Paese, si sono, ritrovati non
isolati ma immersi in un movimento popolare insieme ad amministratori
locali, alle donne, ai giovani studenti, ai pensionati, e agli artigiani.
Proprio per questo - d'altra parte - l'accordo sottoscritto a fine gennaio
si è pouto fare, vincendo contro chi fino all'ultimo ha ritenuto
possibile tirare la corda della rottura. « Non è certo
quello che volevamo - hanno detto molti lavoratori - « ma è
senz'altro il miglior accordo possibile oggi ».
VANJA FERRETTI
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