Volontaria per caso - Ricordando Dublino 2003

Sono fermamente convinta che nella nostra vita nulla sia veramente casuale, ma che tutto invece abbia un significato ed una ragione d'essere.

Per me, tutto cominciò il 2 Gennaio 2003 quando Helen Campbell mi chiese quali “Year End Statements”, cioè quali buoni propositi io avessi fatto per l'anno nuovo.
Io vivevo a Dublino dal 2000 ed avevo conosciuto Helen negli uffici di Pioneer Investments, una società del Gruppo Unicredit di circa 460 dipendenti, di cui 14 diverse nazionalità.

Helen a fine anno aveva fatto il bilancio della sua vita. Mi disse che si considerava una donna fortunata, che aveva avuto molto dalla vita ed ora sentiva il bisogno di fare qualcosa per gli altri. Con questi presupposti ed una ottima conoscenza dell'italiano, si era candidata volontaria in qualità di interprete alle Special Olympics, che si sarebbero svolte in Irlanda a Giugno dello stesso anno.

Devo purtroppo ammettere che ai tempi ero molto ignorante in materia, inoltre non avrei mai immaginato che proprio quello sarebbe stato per l'Irlanda l'evento dell'anno ed avrebbe profondamente influenzato la mia vita. Helen fu così convincente che anch'io inviai il modulo di iscrizione.

Venimmo reclutate entrambe. Il 22 Febbraio 2003, presso il teatro più grande di Dublino, “The Point”, un tempo magazzino portuale, circa 15.000 volontari furono convocati per il primo corso di introduzione ed orientamento alle “Special Olympics World Summer Games”. L'aria era festosa, e il comitato di sicurezza estremamente efficiente. Ad accoglierci sul palco c'era il Comitato Organizzativo e un folto numero di celebrità e di atleti. Ci tennero a sottolineare l'importanza del coinvolgimento di ognuno di noi, cosa dovevamo aspettarci e cosa avremmo dovuto apprendere circa le abilità della gente con ritardi mentali.

“Ognuno di Voi farà la differenza ed ognuno di Voi condividerà gli straordinari risultati riportati da ogni singolo atleta, perché per competere in questo evento di classe mondiale, essi superano le loro paure e le loro difficoltà”. Cosi' Mary Davis, amministratore delegato delle Special Olympics, chiamò i volontari all'azione, ringraziandoli per il tempo che gratuitamente avrebbero messo a disposizione.

Per Helen e per me fu chiaro sin dall'inizio che avevamo fatto la scelta giusta e che avremmo vissuto un'esperienza estremamente coinvolgente. I corsi di addestramento successivi si svolsero a numero ridotto, presso le aule del “Trinity College”, del “Royal College of Surgeons”, ed anche presso lo UCD, l'Università a sud di Dublino. La città ci aveva messo a disposizione il meglio che ci si potesse aspettare.

I corsi vertevano su tre temi principali:

  1. Customer Care Training ” che aveva lo scopo di aumentare la nostra consapevolezza circa:
    • la tipologia dei clienti con cui avremmo avuto a che fare ,

•  Delegazioni,

•  Atleti,

•  Allenatori,

•  Personale di Servizio

•  Volontari,

•  Ospiti,

•  Media

    • il livello del servizio che ci si aspettava dal nostro specifico ruolo

•  cooperativo

•  pro-attivo

•  bilanciato

•  responsabile

•  affidabile

    • quanto meglio eravamo in grado di svolgerlo.

•  Massima flessibilità

•  Gestione delle responsabilità per errori altrui

  1. Inter-Cultural Training ” data la partecipazione di circa 160 differenti Delegazioni, ciascuna con la propria cultura – si è voluto esplorare le migliori modalità per lavorare in questo ambito.
    1. Saluti e congratulazioni

•  es. i Vietnamiti non amano i contatti fisici, quindi non ci si può presentare con una stretta di mano, tanto meno si può pensare di salutarli con un abbraccio o un bacio.

•  I Giapponesi si curvano in avanti in segno di saluto e tradizionalmente la persona nella posizione inferiore mantiene la posizione curvata più a lungo.

•  Gli Indiani salutano giungendo le mani come in preghiera.

•  La gente del Sud America è più propensa al contatto fisico e baci e abbracci sono la norma.

•  Per i volontari maschi sarebbe stato appropriato evitare di salutare le atlete di determinati paesi, ove vigono particolari regole religiose, anche solo stringendo loro la mano.

    1. Cibo

•  Alcuni membri della comunità ebraica o mussulmana si astengono dal mangiar pesce che non abbia spine (es.ostriche, mitili), oppure carne di maiale , o alcolici e potrebbero sentirsi offesi se gli venissero serviti.

•  Alcuni membri di fede Hindu non mangiano carne di manzo in quanto per loro è carne sacra.

    1. Tempo

•  Concetto del tempo per diverse culture

•  Puntualità per evitare frustrazioni

    1. Titoli e Nomi

•  Valutare se dare del tu o rivolgersi in modo più formale

•  In caso di moglie e marito, non dare per assunto che la moglie avesse preso il cognome del marito.

•  Pronunciare bene i nomi, evitare di storpiarli o affibbiare soprannomi.

    1. Linguaggio e Comunicazione

•  Difficoltà dell'altro nell'esprimersi in inglese

•  Evitare l'uso degli idiomi o termini coloriti.

•  Attenzione al linguaggio non verbale (body language)

•  Moderare il tono della voce.

    1. Gestualità

•  Il modo europeo di dire arrivederci poteva essere mal interpretato (per es. dai Greci).

•  Alcuni gesti, come il pollice recto poteva risultare offensivo per alcune culture.

    1. Gestione del Conflitto

•  ascolto e comunicazione

•  cooperazione

•  compromesso

•  consolidamento

 

Il terzo tema era specifico per tipologia di attività :

ServizioDelegazioni

Servizio Famiglia

Servizio Ospitalità

Servizio Informazioni

Servizio Lingue staniere

Servizio Stampa e TV

Servizio Merci e approvvigionamenti

Servizio Medico, etc.

Per Helen e per me riguardava il:

•  “ Language Services Games Training ” per questo ci venne spiegato il funzionamento del servizio durante le gare, i nostri ruoli e come avremmo dovuto inserirci nelle squadre.

I nostri insegnanti erano tutti volontari la cui attività privata, o in aziende di consulenza, era quella di tenere corsi di formazione al personale di: multinazionali, banche, supermercati, linee aeree, etc., per il finale miglioramento del “Customer Satisfaction”. Tutto era organizzato al meglio ed era fantastico vedere come questi professionisti, volontari di Special Olympics, contribuissero con le proprie peculiarità per ciò che serviva al momento.

Un specifico corso di formazione fu dedicato alle famiglie irlandesi che avrebbero ospitato gli atleti, i loro allenatori e all'occorrenza le famiglie degli atleti. Finalmente il 20 Maggio 2003 ci consegnarono il documento di riconoscimento e la divisa .

Le divise erano di cinque diversi colori ed identificavano le aree:

Verde: Volontari di gara (Games volunteers)

Rosso: Servizio Medico (Medical service team)

Giallo: Servizio Eventi e Servizio di Sicurezza (Event serv.& safety team)

Bianco e Nero:Personale tecnico autorizzato (Officials)

Celeste : Assistente di Collegamento di Delegazione (DAL delegation assistant liaison)

In quel periodo l'Asia era nell'occhio del ciclone per via dell'epidemia “influenza aviaria ” meglio conosciuta come “bird flu” l'influenza dei polli e tutti i giornali continuavano a fare congetture circa la possibile presenza delle delegazioni di quei paesi. Le Olimpiadi si sarebbero svolte dal 20 al 29 Giugno, ma il programma di ospitalità detto “Host Town Program” prevedeva l'arrivo degli atleti già dal 16 al 20 Giugno. 168 cittadine sparse in tutta l'Irlanda si erano preparate ad accogliere, a proprie spese, le delegazioni di 160 nazioni e a far conoscere la sincera e calda ospitalità irlandese.

Più di 7.000 atleti, 3.000 allenatori, 28.000 famiglie e amici ed anche 2000 organi d'informazione erano attesi in Irlanda per i Giochi.

Il 19 Giugno 2003 la delegazione Italiana arrivò all'aeroporto di Dublino, tra gli applausi dei volontari e la folla di curiosi che li stavano aspettando. I 98 atleti italiani furono trasferiti a Killarney (una perla irlandese della regione del Kerry) accolti da 100 bandiere tricolore. Helen ed io, a Dublino, tra l' emozione e il timore di non essere all'altezza dell'evento, non stavamo più nella pelle e non vedevamo l'ora di iniziare. Più di 1200 volontari del servizio lingue straniere erano pronti ad accogliere, incoraggiare e a dare il loro massimo supporto agli atleti. E finalmente, nel buio della notte del 21 Giugno, dopo aver attraversato 35 paesi con l'impiego di quasi 85.000 ufficiali di staffetta, scortata solo dai fanali dalle moto delle forze di polizia e dagli atleti del nord e del sud dell'Irlanda, faceva l'ingresso in Croke Park la Fiaccola Olimpionica.

Nello stadio 15.000 persone tra rappresentanti delle delegazioni, volontari, autorità e stars mondiali l'attendevano e innalzata la bandiera dei giochi olimpici e accesa la grande torcia, il presidente della repubblica Mrs Mary McAleese dichiarò aperta la 11ma edizione delle Special Olympics. “Focalizzatevi sulle nostre abilità e non sulle nostre dis-abilità. Abbiamo molti talenti, sapete? ” con queste parole Rita Lawlord, ex-atleta di ginnastica dal 1978 ed ora tra i Messaggero Globale delle Special Olympics catturò l'attenzione di tutti.

E ancora: “Stasera ogni atleta qui rappresenta già una vittoria. Ognuno di voi è libero di essere il migliore, libero di essere il meglio di voi stessi”, disse Nelson Mandela.

“Le persone con disabilità mentali non devono più provare vergogna o paura di vivere i propri sogni. Il mondo ha detto che le persone con disabilità mentali non dovrebbero essere viste, ebbene voi tutti questa sera siete i protagonisti del più grande evento sportivo dell'anno e il mondo vi sta guardando.” così Eunice Kennedy Shriver, fondatrice e presidente onorario delle Special Olympics si rivolse agli atleti.

Infine tra Jon Bon Jovi, Bono e gli U2, Muhammad Ali, Colin Farrell e tanti, tantissimi altri personaggi famosi, tra l'orgoglio e la gioia di tutti, la festa ebbe inizio. Tutto intorno 70.000 bandiere colorate confezionate dai carcerati di Mountjoy Prison sventolavano al vento tra i flash delle macchine fotografiche i fuochi d'artificio le luci e le 1000 piccole fiaccole che disegnavano la circonferenza dello stadio. Era pura magia.

Fu una notte densa di emozioni. Fu una notte memorabile per tutti.

L'indomani, ancora un po' assonnati ma ancora ebbri dell'atmosfera della sera precedente gli atleti iniziarono le graduatorie per le successive gare. Helen era l'interprete della squadra italiana di atletica al Norton Stadium, mentre io ero era stata inviata più a nord, presso il Badminton Center e poiché l'Italia non aveva presentato alcuna squadra in questa specialità, mi assegnarono alla squadra irlandese. Mi sembrò strano che la squadra Irlandese avesse bisogno di un interprete, dal momento che gli atleti giocavano in casa, ma mi spiegarono che la scelta era stata fatta per non discriminare proprio loro. Inoltre, dal momento che parlo anche il francese, avrei avuto modo di aiutare i miei eroi a comunicare con le delegazioni di Belgio, Lussemburgo, Francia e tutti gli altri paesi di lingua francofona.

Superati i primi momenti di timidezza e disagio per la reciproca estraneità, e per l'età degli atleti che oscillava tra i 13 e i 56 anni, mi lasciai coinvolgere dalle loro lacrime, il sudore, le loro gioie, la rabbia, la stanchezza fisica, il dolore di un crampo, o dell'intestino per la freddata presa chissà come. Dopo due giorni i miei colleghi ed io avevamo memorizzato i nomi di quasi tutti gli atleti e molti di loro ci avevano già regalato le spille della loro squadra e ci chiamavano per supportarli nelle gare. Nei centri di gara, c'erano aree riservate esclusivamente agli atleti e ai loro allenatori dove poter riposare e fare merenda o pranzo, aree riservate per noi volontari dove prendere delle pause e il pranzo ed anche aree per le famiglie e gli accompagnatori.

A sostenere e riabbracciare i loro atleti venivano anche le famiglie irlandesi delle cittadine che avevano ospitato le delegazioni durante la prima settimana e che non potevano fare a meno di ricordare con commozione i giorni trascorsi insieme. Raccontavano che alcuni atleti si erano talmente affezionati che, al momento del loro trasferimento a Dublino, avevano chiesto di rimanere lì e separandosi avevano pianto.

Tutto il materiale sportivo e le forniture di acqua, succhi di frutta, biscotti, snacks, sandwiches, carta igienica, medicinali etc. erano state sponsorizzate. Le migliori società irlandesi interpellate non avevano esitato ad affiancare i loro marchi a quello magnifico delle Special Olympics. Presso l'R.D.S. (un gruppo fieristico) era stato allestito il villaggio olimpico, con giochi e animazione a cui avevano accesso solo atleti, famiglie e accompagnatori e volontari. Gli atleti inoltre potevano beneficiare del “programma salute” grazie ad una nutrita schiera di professionisti che offrivano loro la possibilità di sottoporsi gratuitamente a controlli di:

*Optometria (the programme is called Opening Eyes);
* Dentista (Special Smiles);
* Audiologia (Healthy Hearing);
* Divertirsi facendo ginnastica (FUNfitness);
* Promozione Salute;
* Podiatria.

Dopo i primi giorni di gara, si potevano incontrare atleti che già esibivano al collo le medaglie conquistate con fatica e onore.Ogni tanto mi sentivo al telefono con Helen per scambiare le nostre impressioni.

Il nostro impegno era energico e vitale come in Pioneer, ma non era mai stato così autentico.In pochi giorni, ci sembrava di aver imparato più cose da quei ragazzi con sindromi e disabilità mentali, in termini di umanità e valori, che dalle esperienze di tutta la nostra precedente vita.

I giorni volarono via senza che noi potessimo rallentarne il corso. Per fermare il tempo avevamo scattato foto, scambiato i nostri indirizzi con gli atleti, nella speranza di rivederci col tempo. Il pomeriggio dell'ultimo giorno fu il più commovente perché dopo una grande festa allietata da musiche e danze irlandesi, gli atleti, poggiando le proprie spalle l'uno contro l'altro, formarono due file parallele e porgendoci le mani lasciarono che noi volontari li salutassimo uno ad uno, con il calore e l'affetto che si aspettavano e che noi avevamo imparato a dare loro in modo naturale.

Poi, cantando insieme “May we never say goodbye” noi volontari ci schierammo uno di fronte all'altro, porgendo le mani in avanti e formando due file parallele ma ampie per lasciar fluire gli atleti nel mezzo. Fu il loro turno. Ci salutarono come un fiume che sbatte contro gli argini, battendoci i palmi delle mani e baci e abbracci e lacrime, infine uscirono dalla porta della palestra e sparirono sugli autobus per essere ricondotti nei loro alloggi. La sera li avremmo rivisti durante la cerimonia di chiusura, a Croke Park e forse loro ci avrebbero cercato con lo sguardo. Dagli spalti dell'ultimo girone di Croke Park Stadium noi volontari agitavamo il nostro striscione con la scritta “Badminton Center”, ma c'erano 1000 striscioni che venivano agitati con la stessa energia da altri volontari, per segnalare agli atleti la propria presenza.

Loro, i nostri eroi, nel centro dello stadio, come puntini colorati, rispondevano con enormi cartelli, confezionati in fretta, che recitavano THANK YOU IRELAND.Alcuni potevamo riconoscerli, perché ormai conoscevamo bene il loro modo di camminare, di entusiasmarsi, o di cercare coccole.

Mary Davis, Amministratore Delegato delle 2003 World Games, ci ringraziò dicendo:
"A nome del Comitato dei Giochi Olimpici, a tutti i volontari di Dublino, Belfast e di tutte le città d'Irlanda che hanno ospitato le varie delegazioni, Grazie.
Queste Olimpiadi non sarebbero state possibili senza il vostro instancabile supporto ed entusiasmo che avete trasmesso agli atleti delle Special Olympics, come un meraviglio benvenuto Irlandese, inoltre avete fornito loro incoraggiamento partecipando e assistendo alle gare. Voi avete fatto di questo evento un successo che è andato oltre le nostre aspettative ed ha trasformato questi Giochi Olimpici in una esperienza assolutamente fantastica per tutti gli atleti."

Eunice Kennedy Shrivers congedò gli atleti dicendo “In questa settimana che siete stati qui, voi avete conquistato una nazione. Ma nella vita che avete vissuto e il lavoro che avete fatto, nello spirito che avete costruito, voi avete dimostrato di avere la capacità di conquistare il mondo”.

Il Presidente della Repubblica Mrs. Mary McAleese concluse rivolgendosi agli atleti e dicendo:
“ Ciascun atleta porta a casa l'ammirazione ed il rispetto della gente d'Irlanda. Sia che abbiate vinto medaglie o meno, voi avete dato eroicamente il meglio di voi stessi e avete fatto emergere il meglio che c'era in noi.”.

Dopo queste parole, la grande fiamma olimpica fu spenta e la Torcia passata ai fortunati successori del Giappone e le Special Olympics World Summer Games 2003 furono ufficialmente dichiarate chiuse.Un mese dopo circa, mi recai all'aeroporto per prelevare un'amica in visita a Dublino e mi resi conto che l'uscita degli arrivi era ancora incorniciata dai palloncini con il tricolore irlandese che erano serviti per accogliere gli atleti.

Mi morsi le labbra perché mi era venuto il magone.

Non so quante volte nella mia vita io potrò ancora ripetere un'esperienza come questa, ma, qualsiasi cosa succederà in futuro, nessuno mai potrà privarmi delle emozioni e della gioia che ho condiviso con quei ragazzi, con alcuni dei quali sono ancora in contatto.

Questa esperienza ha cambiato la nostra vita e ritornare alla “normalità” per Helen e per me non è stato facile, ma la consapevolezza che questo miracolo sia successo e la speranza che esso potrà ripetersi ci ha dato la spinta per continuare la nostra vocazione di volontarie per caso.

Antonia