N.
2046/96 R.N.R.
N. 0111/99
R.G.U.D.
TRIBUNALE
MILITARE DI TORINO
REPUBBLICA
ITALIANA
lN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Militare, composto dai Signori:
1. Dott. Stanislao SAELI Presidente
2. Dott. Alessandro BENIGNI Giudice
3. Ten. Col. MORISCO Gaetano Giudice militare
con l'intervento
del P.M. in persona del dott. P. P. RIVELLO
e con l'assistenza dell'ASSISTENTE GIUDIZIARIO
S. Ten. a. cpl. (F.S.) Gianluca FALSO
ha pronunciato in pubblica udienza la seguente
SENTENZA
nel procedimento
penale a carico di: ENGEL Siegfried, nato il 31/01/1909 a Warnau Hawel
(D) - e residente a Amburgo Lokstedt (D), Sieben Schoen Strasse n. 19
IMPUTATO
di:
"REATO CONTINUATO DI VIOLENZA IN CONCORSO CON OMICIDIO IN DANNO DI
CITTADINI ITALIANI" (artt. 13 e 185 co. 1 e 2 c.p.m.g., in relazione
agli artt. 575 e 577, nn. 3 e 4, e 61 n. 4 c.p.; 58 c.p.m.p. in relazione
all'art. 47 c.p.m.g. , 81 c.p.) per avere cagionato, in esecuzione di
un medesimo disegno criminoso, quale Ten. Col. delle Forze armate tedesche,
nemiche dello Stato Italiano, in concorso con KAESS Otto, la morte di:
- cinquantanove
cittadini italiani e precisamente quarantadue prigionieri soggetti precedentemente
fucilati.
- centoquarantasette
cittadini italiani, catturati nel cosiddetto rastrellamento della "Benedicta"
effettuato nella provincia di Alessandria nell'ambito territoriale compreso
fra il monte Tobbio e le capanne di Marcarolo, ordinandone la fucilazione,
nei giorni compresi fra il 7 e l'11 aprile 1944.
- ventidue
cittadini italiani e cioè:
Abramo BESSIGNANI;
Domenico CAMERA; Agostino CARNIGLIA, Emanuele CAUSA, Otello CENATELLI;
Cafiero CIPRIANI; Giovanni COSTA LUIGI; Carlo DELLA CASA; Domenico DE
PAOLO; Carlo CAVERZANI; Marcello GOFFI; Giuseppe GOLISANO; Bartolomeo
MAFFEI; Amelio MATOROZZI; Alfredo MELDI; Luigi CELSO MELDI; Tullio MOLDENI;
GIOVANNI ODICINI; Emanuele SCIUTTO; Cipriano TURCO; Diofebo VECCHI; ordinandone
l'uccisione, avvenuta nella località Olivetta di Portofino in data
02/12/44, e caratterizzata dalla particolare efferatezza dell'esecuzione,
giacché i corpi dei fucilati vennero legati a massi di pietra e
poi gettati in mare per impedirne la sepoltura.
- venti cittadini
italiani, rastrellati in località Cravasco (GE), ordinandone la
fucilazione, avvenuta in data 23/03/45.
1) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Siegfried
Engel è stato rinviato a giudizio per il reato in epigrafe.
Il processo si è svolto in quattro udienze in cui dopo l'esposizione
delle parti costituite e l'accertamento dello stato contumaciale dell'imputato
è stata acquisita la documentazione prodotta dal P.M. e sono stati
sentiti i tredici testi nonché il prof. Carlo Gentile in qualità
di consulente tecnico del P.M.
Al termine del dibattimento sono state pronunciate le seguenti richieste:
P.M.: condanna dell'imputato alla pena dell'ergastolo;
Parti Civili: condanna al risarcimento dei danni come meglio precisate
nelle conclusioni scritte depositate al termine della requisitoria;
Difesa: in via principale, assoluzione secondo la formula di giustizia;
in via subordinata concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulle
contestate aggravanti e dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta
prescrizione.
2) DESCRIZIONE DEI FATTI PER CUI SI PROCEDE
A) La strage
della "Benedicta"
Il rastrellamento
della "Benedicta" è passato alla storia come la prima
grande operazione intimidatoria antipartigiani con cui i Comandi militari
germanici decisero di garantirsi la sicurezza delle vie di comunicazione
presenti tra la Riviera ligure e la Pianura Padana.
Essi avevano raccolto notizie della formazione di un insediamento della
Resistenza che si era via via arricchita della presenza di molti giovani
sottratti al "Bando Graziani" di chiamata alle armi.
L'azione tedesca si svolse nel periodo compreso tra il 6 e l'11 aprile
1944 e si risolse in una sanguinosa tragedia in cui furono largamente
coinvolte le popolazioni contadine della zona e i giovani sbandati. Le
esecuzioni furono continue e comportarono 147 vittime "regolari",
reato militare per cui oggi si procede, cui bisogna aggiungere i caduti
nei combattimenti e i contadini della zona trucidati nelle loro case.
Un trattamento particolare fu riservato all'antico Monastero della Benedicta,
in cui si erano rifugiati gli uomini meno esperti e peggio armati, il
quale fu minato e fatto esplodere.
B) L'eccidio del Turchino
L'operazione della Benedicta ebbe una funesta appendice nel c.d. eccidio
del Turchino.
Il 14-05-1944 era stata organizzata dai G.A.P. un'azione di attacco contro
i militari tedeschi che frequentavano il cinema "Odeon", riservato
ad essi in via esclusiva. L'esplosione di una bomba all'interno di quel
locale aveva causato la morte di cinque militari ed il ferimento di altri
quindici.
La risposta a questa azione fu quasi immediata sul medesimo modello, a
parte le minori proporzioni, di quella tristemente nota delle Fosse Ardeatine.
Dalla IV sezione del carcere di Marassi furono prelevati cinquantanove
candidati alla fucilazione di cui diciassette provenivano dal rastrellamento
della Benedicta avvenuto il mese precedente.
L'esecuzione ebbe luogo nelle prime ore del 19-05-1944 in località
Fontanafredda presso il passo del Turchino. Le modalità furono
particolarmente crudeli, in quanto le vittime designate dovettero portarsi
su assi protese sopra una grande fossa che nel giorno precedente un gruppo
di ebrei era stato costretto a scavare e ivi vennero uccise a colpi di
mitra in gruppi di sei cadendo sui corpi dei l oro compagni già
uccisi.
Il rapporto tra militari tedeschi uccisi nell'azione partigiana e vittime
della rappresaglia fu superiore a quello di uno a dieci previsto dal "bando
Kesselring".
C) L'eccidio di Portofino
In una delle
più belle e suggestive località della riviera ligure era
stato insediato un comando tedesco per svolgervi alcune azioni di polizia.
Qui nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1944 furono fucilati ventidue
cittadini italiani prelevati dalla IV Sezione del carcere di Marassi,
a disposizione delle SS. I loro corpi legati reciprocamente con filo di
ferro furono caricati su alcune barche e gettati in mare al largo con
pesanti pietre come zavorra.
La ragioni di questo eccidio non sono mai state esplicitate.
D) Le fucilazioni di Cravasco
Il 22 marzo
1945 una pattuglia di militari tedeschi cade in una imboscata tesa da
un reparto della Brigata "Balilla". Durante lo scontro a fuoco
vengono uccisi otto soldati tedeschi.
Nelle prime ore del giorno dopo sono prelevati dalla IV Sezione del carcere
di Marassi venti cittadini italiani che vengono poi trasferiti su un camion
nei pressi del cimitero di Cravasco, e lì, fucilati.
3) MOTIVI
DELLA DECISIONE
Il tribunale
ritiene pienamente provata la responsabilità dell'imputato in ordine
a tutti gli episodi ascrittigli.
Le prove sono costituite sia dalle testimonianze rese in dibattimento,
sia dai numerosi documenti che, assai meritoriamente, il Procuratore è
riuscito a rinvenire nei vari archivi storici e giudiziari.
Il presupposto indispensabile per individuare le responsabilità
è costituito dalla piena informazione e comprensione e organizzazione
delle forze di sicurezza tedesche sia dal punto di vista generale, sia
con particolare riferimento alla situazione ligure. Dati esaurienti in
merito sono contenuti nella relazione tecnica del Prof. Carlo GENTILE,
consulente del P.M., acquisita agli atti ex art. 501 c.p.p., frutto di
approfondite ricerche archivistiche eseguite in Germania.
Da queste ricerche risulta come i responsabili regionali del servizio
SD (che costituiva il servizio di sicurezza delle SS ed era l'unico competente
a disporre le rappresaglie) fossero gli "Aussenkommando" (A.K.),
con sede nel capoluogo. Siegfried Engel fu posto al comando dell'A.K.
di Genova sin dal gennaio 1944 fino alla avvenuta liberazione.
La diretta partecipazione di Engel e dei suoi reparti alle azioni di rastrellamento
e ai successivi eccidi avvenuti nella zona della "Benedicta"
risulta dalla proposta per il conferimento della Croce al merito di guerra
di I classe con Spade allo stesso Engel rinvenuta dal Prof. Gentile "...Nell'ambito
di un'azione condotta nella zona di Mosone dalla 365ª Infanterie
Division nei giorni 5 - 9 aprile..." ( e cioè nei giorni del
rastrellamento della "Benedicta") "... ha comandato con
successo un Einsatzgruppe...".
Il crimine consistette nell'uccisione non in combattimento, durante un'azione
di guerra, ma dopo la resa e la deposizione delle armi, di un gran numero
di partigiani e di giovani che non facevano parte delle formazioni armate.
L'episodio è stato confermato, durante il processo, dal teste ODINO,
miracolosamente scampato perché creduto morto, il quale su specifica
domanda del Procuratore, ha sottolineato come la fucilazione non sia stata
preceduta né da alcun processo, né da alcun interrogatorio
(verbale ODINO pag. 22-23) e come il ruolo di comando fosse tenuto da
soldati tedeschi.
Un ulteriore riscontro è rinvenibile nell'interrogatorio reso al
Comando Alleato da Giuseppe NICOLETTI, interprete del Comando SS di Genova,
acquisito agli atti ex art. 238 c.p.p.
NICOLETTI, in questo interrogatorio, aveva affermato come in prossimità
della Pasqua 1944 il Comandante (quindi Engel) avesse riunito nel suo
ufficio tutto il personale dipendente annunciando che il giorno dopo avrebbe
avuto inizio un grande rastrellamento contro i partigiani (pag. 41-53
fasc. P.M. agli atti).
NICOLETTI descrive anche i presupposti e lo svolgimento dell'accaduto
del TURCHINO (fogl. 88 fasc. P.M. agli atti): "In seguito all'attentato
al cinema Odeon di Genova, il comandante della polizia di Genova, d'accordo
con il Maggiore ENGEL, decise una azione di rappresaglia con la fucilazione
di dieci ostaggi per ogni tedesco deceduto.
Una sera verso mezzanotte tutto il personale maschile della Casa dello
Studente si recò a Marassi con due torpedoni e sei macchine; colà
giunti, il comandante Engel fece loro presente che si dovevano ritirare
sessanta ostaggi da consegnare ai militari della Marina affinché
li fucilassero in rappresaglia ... ne furono poi prelevati invece cinquantanove.
Scavata la fossa da ebrei detenuti a Marassi due giorni prima, furono
fatti salire i condannati su una assicella che sporgeva sopra la fossa,
sei alla volta, così facendo una volta uccisi, essi cadevano all'interno
della fossa.
Quelli che seguivano dovevano vedere il macabro spettacolo dei compagni
già giustiziati".
Le parole di NICOLETTI trovano un tragica conferma sia dalla deposizione
del Sen. Raimondo RICCI, che era il sessantesimo ostaggio che fu chiamato
insieme con gli altri una prima volta ma poi non fu richiamato nell'appello
finale (verbale RICCI pag. 30) il quale dichiara con assoluta certezza
che l'intera operazione fu gestita dal reparto Sipo-SD comandato dal Maggiore
Engel (verbale RICCI pag. 38), sia soprattutto, da un documento, tratto
dall'Archivio Federale di Amburgo, presente agli atti, relativo alla comunicazione
giornaliera del 17 maggio 1944: " Fino alla mattina del 17 maggio
1944 sono salite a cinque le vittime nell'attentato dinamitardo nel cinema
militare di Genova. Si stanno preparando sanzioni da parte della S.D.".
Nel corso dell'esame il Prof. Gentile ha specificato come il termine tedesco
"Massnahme" fosse proprio quello utilizzato per le fucilazioni.
Questa comunicazione, fortunosamente ritrovata, costituisce una delle
rare indicazioni dirette di attribuzione di responsabilità che
si trovano nelle fonti tedesche sopravvissute alla guerra.
Ciò coincide con i compiti istituzionali della "S.D."
che ricomprendevano anche la preparazione e le esecuzioni delle rappresaglie.
Per quanto riguarda il terzo episodio (e cioè l'eccidio di Portofino),
la responsabilità dello S.D. era già stata provata dalla
Corte d'Assise Straordinaria di Genova con la sentenza 18-08-1945 emessa
nei confronti di Vito SPIOTTA, che partecipò all'eccidio, il quale
aveva confessato che "per ordine della polizia tedesca erano state
prelevate ventidue persona da essere trasportate a Portofino per essere
giustiziate".
Tale risultanza probatoria è stata confermata, nel corso del dibattimento,
dalla deposizione del teste Giorgio GIMELLI, il quale ha dichiarato come
era stato Engel a decidere le rappresaglie di Portofino insieme al tenente
di vascello REIMER, capo del porto di Portofino (vedasi in atti verbale
GIMELLI).
Ciò risulta indirettamente anche dal fatto che i ventidue prigionieri
uccisi furono prelevati dal carcere di Marassi, posto sotto il controllo
di Engel.
Infine, per quanto riguarda l'eccidio di Cravasco, in atti vi è
la deposizione di Arrigo DIODATI, allora diciannovenne, che miracolosamente
era riuscito a scampare: "il 23 marzo 1944 fummo noi che eravamo
prigionieri della quarta Sezione SS del carcere di Marassi, svegliati
nella notte per essere prelevati e feriti non sapevamo ancora se per essere
fucilati nel cortile del carcere oppure per essere deportati nei campi
di concentramento in Germania ... fummo poi trasferiti su un camion militare
e all'alba del 23 marzo fummo al centro di una colonna di Tedeschi e di
fascisti che ci trasferirono... per poi prendere la valle Polcevara ed
arrivare praticamente al termine di questa vallata che è il Comune
di Campomorone, da dove fummo fatti scendere e poi fatti proseguire a
piedi... rimanemmo in 18, di questi 18 un gruppo di 9 fu fucilato davanti
a noi, prima di noi, e il nostro gruppo fu poi schierato in prossimità
e quindi fu il nostro turno a essere fucilati.
... Io ero rimasto praticamente illeso e in piedi, mentre i miei compagni
attorno cadevano...così, massacrati, io ero rimasto illeso e solo
in un secondo momento cioè dopo la seconda scarica, mi ritrovai
per terra in mezzo ai miei compagni.
Poi sono rimasto dall'alba al tramonto sotto i cadaveri e poi... pensavo
di morire... mentre invece poi dopo ore ed ore sentendo ritornare i Tedeschi
dal rastrellamento che facevano in zona, incendiando il paese di Cravasco,
ebbi un soprassalto, capii che forse non era finita, che forse avrei potuto
sopravvivere e allora questo mi portò a trascinarmi fuori da questo
massacro, da questo carnaio e a portarmi all'ingresso del cimitero dove
gli unici alberi erano tre cipressi, all'ingresso del cimitero trovai
la forza di salire su uno di questi cipressi e da lì assistere
ancora alle razzie dei tedeschi che portarono via il bestiame, che incendiarono
le case degli abitanti e dei contadini e attesi che venisse l'imbrunire
per poter mettermi in salvo". Quindi nel corso della deposizione
il Diodati specificò come le SS li avessero prelevati senza alcun
processo e di avere dopo la guerra saputo dal cronista Arminio SAVIOLI,
giornalista del quotidiano "l'Unità", che pubblicò
un articolo sull'argomento, come Engel avesse svolto un ruolo decisivo
in quella vicenda.
Alla luce di tutte le risultanze dibattimentali, il tribunale ritiene
attribuibile a ENGEL la responsabilità penale per tutti e quattro
gli eccidi precedentemente descritti. Infatti le vittime di tutti gli
eccidi provenivano dalla IV Sezione del carcere di Marassi, la quale era
una sezione a completa disposizione della Sipo-SD comandata da ENGEL.
Nei casi in questione le risultanze processuali hanno dimostrato, sopra
ogni ragionevole dubbio, come la formale titolarità del comando
Sipo-SD si sia tradotta in realtà, in una diretta responsabilità
dell'esercizio concreto del comando medesimo sul piano operativo. Anche
se si volesse, comunque, prescindere da tali risultanze, varrebbe comunque
a persuadere della fondatezza del convincimento ora espresso una serie
di osservazioni che appaioni logicamente consequenziali.
In primo luogo non si può ignorare il dato della sistematicità
che ha connotato le condotte descritte nei vari capi di imputazione. Tale
sistema tacito non può derivare dall'esito anomalo e imprevedibile
di spontanee iniziative dei combattenti, ma solo come l'espressione di
atti esecutivi delle direttive provenienti dal comandante del gruppo di
combattimento.
Gli eccidi della Benedicta, del Turchino, di Portofino e di Cravasco non
possono essere ritenuti frutto della crudeltà particolare di qualche
sottufficiale impazzito: si tratta di episodi tutti necessariamente avallati,
se non addirittura disposti, da Siegfried ENGEL.
Peraltro, non può essere invocata a favore dell'imputato la scriminante
della rappresaglia.
Con questo termine è stata definita dalla dottrina internazionalistica
la possibilità, da parte di uno Stato, colpito nei propri interessi,
di porre in essere manifestazioni di autotutela, sia preventiva, sia repressiva,
nei confronti dello Stato aggressore.
Gli elementi
costitutivi della rappresaglia sono:
A) la lesione di un diritto o di un interesse dello Stato.
B) la proporzionalità delle condotte poste in essere con la rappresaglia
rispetto alle offese arrecate.
C) il rispetto dei più elementari valori umani.
Se si può
ritenere sussistente il primo elemento, con riferimento alla Strage della
Benedicta, il pericolo potenziale costituito dalla formazione di un insediamento
della Resistenza, che poteva arricchirsi con il, passare del tempo e divenire
in astratto fonte costitutiva di possibili sabotaggi e attentati, non
può giustificare l'uccisione di oltre 147 persone, considerato
che, fino a quel momento non si era registrato nella zona alcun episodio
criminale.
Per quanto riguarda l'eccidio del Turchino, le sproporzione è insita
nel fatto che, come si era già accennato, non è stato neppure
rispettato il rapporto previsto dal bando Kesselring (uno a dieci), dal
momento che furono "giustiziati" cinquantanove prigionieri a
fronte di cinque militari tedeschi uccisi.
Per quanto riguarda l'eccidio di Portofino si ignora persino quale sia
stata la ragione giustificativa della disposta esecuzione.
La consapevolezza della illegittimità di tale tipo di rappresaglia,
del resto, era già ben presente nella coscienza dei loro autori:
infatti la rappresaglia, proprio per la sua funzione, deve avere un valore
emblematico e deve essere realizzata con la massima pubblicità
per essere di ammonimento ai cittadini. Invece le stragi di Cravasco e
di Portofino sono state fatte di nascosto, tentando di occultare tali
eventi.
Del pari, non può essere invocata neppure la c.d. "repressione
collettiva".
Tale istituto è disciplinato dall'art. 65 R.D. 8/7/1938 N. 1415
(c.d. Legge di Guerra) il quale prevede che "nessuna sanzione collettiva,
pecuniaria o di altra specie, può essere inflitta alle popolazioni
a causa di fatti individuali, salvo che esse possano essere ritenute solidamente
responsabili". Questa norma costituisce la trascrizione letterale
dell'art. 50 della Convenzione dell'Aja 18/10/1907 relativa alle leggi
e agli usi della guerra terrestre: "Aucune peine collective, pécuniaire
au autre, ne pourra être édictée contre les populations
raisonfaits individuels dont elles ne pouvaint être considérées
comme solidairement responsables".
Queste disposizioni fanno perno sulla sanzione pecuniaria (infatti dice
"nessuna sanzione collettiva, pecuniaria o di altra specie...). Ciò
induce a ritenere che si possono riferire solo a sanzioni patrimoniali
diverse da quelle pecuniarie, e non sanzioni personali.
Esempi tipici di sanzioni collettive sono, ad esempio, le requisizioni
di proprietà mobiliari dello Stato occupato.
Come esempio classico di sanzione collettiva, non a caso, viene comunemente
ricordata dalla dottrina internazionalista l'episodio della distruzione
della biblioteca e dell'Università di Lovanio operata dai tedeschi
durante la I Guerra Mondiale.
Il tribunale ritiene provata anche l'esistenza delle aggravanti della
premeditazione e della crudeltà verso le vittime.
Per quanto riguarda la premeditazione la Suprema Corte ha più volte
affermato la sufficienza, ai fini della sussistenza di tale aggravante,
di un intervallo di tempo sufficiente, ai fini della sussistenza di tale
aggravante, di un intervallo di tempo sufficiente in cui il reo abbia
avuto la possibilità di riflettere e di pensare nel suo proposito
criminoso (Cass. 28/07/1991 in Cass. Pen. 1993 II, 609).
Ciò è senza dubbio avvenuto nei casi in questione in cui
gli eccidi si sono consumati al termine di una procedura (prelevamento
dal carcere di Marassi, conta dei prigionieri, trasferimento degli stessi
nel luogo prestabilito e quindi uccisione) che permetteva all'imputato
di riconsiderare l'iniquità e l'inutile crudeltà dei propri
atti.
Per quanto riguarda invece l'aggravante prevista dall'art. 61 n. 4 c.p.
pare sufficiente al tribunale ricordare le modalità della strage
del Turchino e cioè la costrizione da parte dei prigionieri di
salire in fila sul trampolino affacciante sulla fossa che era stata scavata
e al cui interno già giacevano i cadaveri di coloro che erano già
morti.
Proprio tali modalità insieme al comportamento processuale dell'imputato,
che si è sempre rifiutato di comparire in giudizio, inducono il
tribunale le concedibilità delle attenuanti generiche.
Il tribunale alla luce delle riconosciute aggravanti e non sussistendo
alcuna attenuante commina la pena dell'ergastolo con la conseguente condanna
al pagamento delle spese processuali.
Per quanto riguarda le richieste di risarcimento dei danni presentate
dalle parti civili, il tribunale liquida le spese processuali nelle somme
che verranno indicate in dispositivo.
Per quanto attiene al risarcimento dei danni il tribunale, ai sensi dell'art.
539 c.p.p. ritiene di condannare l'imputato al pagamento di una somma
a titolo provvisionale di £ 5.000.000= (cinquemilioni) nei confronti
di tutte le parti civili presenti in giudizio, con la sola eccezione del
Sig. Luigi REBORA, rinviando le parti al giudizio civile per la integrale
liquidazione del danno.
P.Q.M.
letti gli
artt. 533 e 535 c.p.p.
DICHIARA
ENGEL Siegfried
contumace, responsabile del reato ascrittogli e lo
CONDANNA
alla pena
dell'ergastolo, spese e conseguenze di legge
CONDANNA
altresì
il medesimo al pagamento delle somme di £ 6.060.000 quale nota spese
dei Comuni di Voltaggio e Ovada;
£ 7.425.000 quale nota spese dei Comuni di Campomorone, Mele, Portofino
e dell'A.N.F.I.M.;
£ 5.000.000 quale nota spese della Provincia di Alessandria;
£. 6.930.000 quale nota spese della Provincia di Genova;
£ 5.000.000, quale risarcimento danno, in via provvisionale per
ciascuna delle parti civili regolarmente costituitesi ad eccezione della
parte civile Rebora Luigi.
Tutte le
predette somme sono liquidate in via immediatamente esecutiva rimandando
l'esatta quantificazione dei danni morali e patrimoniali alle competenti
sedi civili.
Indica in giorni novanta il terrmine per il deposito della sentenza.
Torino, 15.11.1999
IL GIUDICE ESTENSORE IL PRESIDENTE
Dott. Alessandro BENIGNI Dott. Stanislao SAELI
L'ASSISTENTE GIUDIZIARIO
S. Ten. a. cpl. (F.S.) Gianluca FALSO
Depositata in cancelleria il 25 gennaio 2000
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