la memoria | l'armadio della vergogna |
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L'indagine
venne avviata e alla fine si scoprì che centinaia di fascicoli
processuali Per gentile concessione dell'Istituto Ligure per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea (che l'ha pubblicata sulla rivista "Storia e Memoria", n. 2, 1998) riproduciamo la versione integrale della Relazione conclusiva sull'indagine svolta, anticipandone alcuni dei passaggi più significativi accompagnati dalle considerazioni espresse dallo storico Lutz Klinkhammer e dal Procuratore Antonino Intelisano, presidente dell'Associazione nazionale magistrati militari. "[...] nell'estate 1994 in un locale di palazzo Cesi in via degli Acquasparta 2 in Roma, sede degli uffici giudiziari militari di appello e di legittimità, veniva rinvenuto un vero e proprio archivio di atti relativi a crimini di guerra del periodo 1943-1945". "[...] Già ad un primo sommario esame ci si era resi conto che il materiale rinvenuto era piuttosto scottante, in quanto in gran parte costituito da denunce e atti di indagine di organi di polizia italiani e di Commissioni di inchiesta anglo-americane sui crimini di guerra; documentazione che risultava raccolta e trattenuta in un archivio, invece di essere stata a suo tempo inviata ai magistrati competenti per le opportune iniziative e l'esercizio dell'azione penale". [...] Se
si ritiene, tuttavia, che nell'illegalità delle determinazioni
della Procura Generale Militare non possano che essere confluiti motivi
di opportunità politica, in un certo senso una superiore ragione
di Stato, dal carteggio acquisito se ne può desumere una puntuale
definizione. Verso la fine del 1956 un Procuratore Militare si era rivolto
all'Autorità di Governo per un'ennesima istanza di estradizione,
da presentare al Governo della Repubblica Federale di Germania. [...]
il Ministro degli Esteri [Gaetano Martino, ndr] con nota del 10 ottobre
1956 diretta al Ministro della Difesa [Paolo Emilio Taviani, ndr] riguardante
proprio l'estradizione ipotizzata dal Procuratore Militare, nell'esporre
i vari argomenti contrari all'iniziativa, tra l'altro chiaramente si soffermava
sui non trascurabili "... interrogativi (che) potrebbe far sorgere
da parte del Governo di Bonn una nostra iniziativa che venisse ad alimentare
la polemica sul comportamento del soldato tedesco. Proprio in questo momento
infatti tale Governo si vede costretto a compiere presso la propria opinione
pubblica il massimo sforzo, allo scopo di vincere la resistenza che incontra
oggi in Germania la ricostruzione di quelle Forze Armate, di cui la N.A.T.O.
reclama con impazienza l'allestimento". E pienamente adesiva era
poi la nota di risposta del Ministro della Difesa in data 29 ottobre 1956". "[...]
Nel Trattato di pace l'Italia si impegnava ad assicurare l'arresto e la
consegna delle persone accusate di avere ordinato e commesso crimini di
guerra. Questa clausola del Trattato di pace non fu mai applicata perché
le più alte autorità statali italiane concordarono che le
richieste di estradizione non dovevano essere accolte e che nemmeno davanti
alla Magistratura italiana dovevano essere celebrati processi di questo
tipo. I due problemi sono ben connessi e si può anche trovare un
documento nel quale il Procuratore Militare dott. Borsari sosteneva (cito
testualmente) che "i processi contro i presunti criminali italiani
si svolgerebbero, contemporaneamente a quelli dei presunti criminali tedeschi,
da parte dei tribunali Militari italiani e poiché le accuse che
muoviamo contro i criminali tedeschi sono quelle che gli iugoslavi portano
contro gli italiani, ne consegue che facendo i processi contro i tedeschi
- e in particolare quello contro Kappler - noi daremmo un'arma pericolosa
in mano agli iugoslavi". Borsari concluse dichiarandosi contrario
all'inizio dei processi contro criminali italiani da parte della Magistratura
militare. Così è successo, e tutte le richieste di estradizione
furono negate". " Si
tratta di una decisione, alias insabbiamento, sostanzialmente perdonista,
adottata - come è accaduto per altre vicende - al di fuori di ogni
regola, per una supposta ragion di Stato, slegata da ogni procedura e
dai controlli della pubblica opinione".
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