La lettura della 1^ Tessalonicesi mi ha indotto a chiedermi: se S. Paolo fosse stato il fondatore della comunità di Assago (dove io vivo)  come si rivolgerebbe, in quali termini, rimarcando cosa?

Con esattezza non lo so, ma certamente sarebbe una lettera non celebrativa.

Riconoscerebbe le tre virtù teologali (fede - speranza ­- carità) incarnate nella comunità?  Dove le riconoscerebbe per additarle a tutti?

E nel caso fosse sconfortato, quali indicazioni e raccomandazioni farebbe?

Certamente troverebbe una società molto diversa, molto complicata, relazioni molto

labili. Gli sarebbe difficile riconoscere una chiesa “composta da credenti che a pieno titolo partecipano della vita di comunità in comunione tra loro e con Dio”.

 

Le tre virtù teologali si coniugano in maniera indissolubile, ma è la terza (la carità) che risulta meno evidente nella nostra realtà. Non che non sia presente in singole persone, ma raramente diventa un modo di essere della comunità ecclesiale, tale da essere riconosciuta e riconoscibile come modo di vita dei cristiani.

Conseguentemente S. Paolo come e dove potrebbe annusare l’alito della Speranza quando domina l’ansia del presente  e l’oscurità del futuro?

E la Fede? Rischia di essere all’insegna dell’intimismo e dell’oscurantismo se non si lascia alimentare dalla Speranza, frutto del riconoscere nel reale  l’azione dello Spirito, e della Carità “che è paziente, è benigna, non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto , non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità”(1^ Corinzi).

 

Ecco perché ritengo più che attuali le quattro esortazioni e le dodici raccomandazioni finali (tutte alla portata di ciascuno).

Esortazioni e raccomandazioni che, se messe in pratica, non possono che dare spazio al Dio della pace riconosciuto e riconoscibile.

 

Ciao a tutti.       

 

                    Dino