“ I cambiamenti dei rapporti uomo-donna nel mondo del lavoro “

    ( Relazione di Maria Lasalandra, 23.9.2009 )

 

 

Ringrazio tutti dell'invito perché  è la prima volta che vengo invitata a parlare di questi argomenti in ambienti che mi si confanno, ed anche perché è un’occasione per mettere in fila alcuni pensieri sparsi derivanti dal mio lavoro. Mi occupo di progetti di pari opportunità e azioni positive all'interno di organizzazioni sia pubbliche che private, progetti promossi dalla  legge n. 125  emanata nel ’91 per superare le discriminazioni  e promuovere le pari opportunità tra donne ed uomini nel lavoro.

Quindi il mio punto di vista è un punto di vista “sul campo” che mi consente di cogliere alcuni “indizi” di cambiamento nei rapporti tra donne ed uomini nel lavoro.

Negli ultimi anni anche sotto la spinta  della Comunità Europea i progetti di pari opportunità hanno coinvolto non solo le lavoratrici ma anche i lavoratori. La problematica principale su cui sono stati coinvolti i lavoratori è  stato quello della “conciliazione”  tra responsabilità familiari e professionali. In sintesi l’invito è stato quello di  “gettare un ponte” tra la sfera privata e la sfera lavorativa attraverso la promozione e la messa in atto di pratiche organizzative nei contesti di lavoro che coinvolgessero sia uomini che donne.

L’invito a coinvolgere anche gli uomini si basa su due considerazioni:

-          Intanto continuare, a distanza di molti anni dai primi provvedimenti per le pari opportunità, a rivolgersi soltanto alle lavoratrici rischia di provocare  un effetto di boomerang;  le misure possono ritorcersi contro le donne stesse  perché scatta un meccanismo di “ghettizzazione”, e possono essere percepite d’altro canto come “privilegi”. Mi è capitato parecchie volte di sentire dire: “le donne se ne approfittano”, parlando della maternità.

-          L’altro ragionamento un po' più corposo: perché  si affermi una nuova cittadinanza di genere, ovvero la possibilità di entrambi i generi di potersi vivere con  grande libertà e rispetto della  diversità, è necessario  che la riflessione e la pratica coinvolga entrambi i generi.

Per queste ragioni in questi ultimi anni,  le iniziative realizzate nei contesti organizzativi sia pubblici che privati ed anche  le iniziative a livello territoriale, hanno visto il coinvolgimento di lavoratrici e lavoratori.

Da alcuni  di questi progetti che ho seguito personalmente, prendo lo spunto per la riflessione di questa sera.

 

La femminilizzazione del lavoro

 

Prima però voglio inquadrare il tema a livello più generale  all'interno della grande novità degli ultimi venti anni: l'aumento dell'occupazione femminile, aumento esplosivo registrato in tutti i Paesi occidentali. Per quanto l'Italia registri ancora un basso tasso di occupazione femminile (45%) rispetto agli altri Paesi europei e al tasso auspicato dal Trattato di Lisbona (60%), l’aumento ha interessato anche il nostro Paese. Va detto che è una situazione a “macchia di leopardo”: in Lombardia siamo sul 57%, così in Emilia, nel Veneto e in Piemonte, al Centro leggermente al di sotto,  mentre nelle regioni del Sud il tasso di occupazione femminile è molto più basso.

I nuovi posti di lavoro creati negli ultimi vent'anni sono andati prevalentemente alle donne, c'è stato un ingresso delle donne anche in settori prima dominati completamente dagli uomini. C'è stata un'esplosione dell’occupazione femminile anche attraverso le forme ibride del lavoro autonomo, nelle libere professioni e nell’imprenditoria femminile. Questo aumento non sempre  ha coinciso con un miglioramento delle condizioni di lavoro: la precarizzazione del lavoro interessa una quota maggiore di donne rispetto agli uomini,  persistono le discriminazioni legate alla maternità, l’ accesso alla carriera è ancora difficile e  i differenziali salariali a sfavore delle donne  sono aumentati. Valga il caso della Lombardia che ha visto una crescita notevole dell’occupazione femminile nel terziario avanzato, ebbene anche in questo settore la presenza delle donne tra i dirigenti   è marginale (non supera il 15%), come si ricava dai formulari che ogni anno le aziende devono compilare e inviare alla Consigliera di parità regionale (secondo la legge n.125/91).

A fronte di questa crescita  si è cominciato a parlare di femminilizzazione del lavoro, concetto entrato nelle analisi del mercato del lavoro per indicare non solo l’aspetto quantitativo ma, soprattutto, l’aspetto qualitativo dell’aumento della popolazione femminile nel lavoro, cosa questa che lo contraddistingue oggi diversamente dal passato.

Il concetto è stato usato a volte per indicare il rapporto tra  precarizzazione e  flessibilizzazione del lavoro ed inserimento delle donne nel mercato del lavoro. In alcuni casi  la precarizzazione è spiegata come risultato della femminilizzazione dei lavori, in altri la femminilizzazione è vista come conseguenza della precarizzazione di una quota rilevante di lavori. La maggior presenza delle donne registrata negli ultimi anni nel cosiddetto lavoro cognitivo (lavoro culturale, nell'editoria, nel giornalismo, nell'informazione, nella ricerca)  sembrerebbe mostrare proprio questa ambivalenza del lavoro precario: da un lato un vero e proprio sfruttamento nascosto dalle caratteristiche professionali del lavoro cognitivo (autonomia, creatività ecc.), dall'altro occasione per un maggior  inserimento delle donne con la possibilità di organizzazione e gestione del tempo di lavoro rispetto agli impegni familiari.

Si è parlato di femminilizzazione del lavoro anche per indicare la “mercatizzazione” dei lavori di cura  (cura dell’infanzia, salute, assistenza,  ecc.) tradizionalmente assunti dalle donne all’interno della famiglia. L'ingresso delle donne nel mondo del lavoro ha portato con sé l'esigenza  di servizi che, data la diseguale ripartizione tra i sessi del lavoro di cura e domestico all'interno del nucleo famigliare,  vengono svolti da altri soggetti, generalmente altre donne e per lo più immigrate.  Questo aspetto meriterebbe un approfondimento perché fa emergere  un nodo ancora irrisolto:  lo “spostamento” del lavoro domestico e di cura  su un’altra donna  lasciando inalterata la ripartizione del lavoro familiare   all'interno della famiglia.

Coloro che hanno studiato i flussi dell'immigrazione a livello mondiale,  parlano di globalizzazione del lavoro femminile svolto all’interno della famiglia ( B. Ehrenrecich, A. Russel Hochschild, “ Donne globali. Tate, colf e badanti, 2004), che viene interpretato non più o non solo con il paradigma della svalorizzazione ma anche mettendone in luce gli aspetti di competenza e di valore.

Con il concetto di femminilizzazione del lavoro  ci si riferisce anche  al fatto che la nuova economia richiede l'uso di capacità riconosciute femminili, tradizionalmente attribuite alla “natura femminile” come il lavoro di cura,  e  di competenze comunicativo- relazionali associate sinora ai lavori svolti dalle donne all’interno della famiglia e nei cosiddetti “settori tradizionalmente femminili”.

 

Il lavoro fattore costitutivo di identità

 

Questa evoluzione della presenza delle donne nel mondo del lavoro,  già presente da molti anni e confermata negli ultimi anni, dipende non solo dai cambiamenti del mondo produttivo o dalle nuove esigenze del mondo economico, ma anche da un nuovo e diverso rapporto che le donne hanno con il lavoro. Il lavoro per le donne è diventato un fattore costitutivo della propria identità. I numeri ci dicono anche questo:  il lavoro non è solo un fatto economico o strumentale, non è solo per il fatto che nelle città non si può vivere con un solo stipendio,  ma esprime anche il desiderio femminile  di indipendenza e libertà.

Per le giovani donne il lavoro non è più un fattore di emancipazione come per le generazioni precedenti, ma un fatto naturale, danno per scontato che lavoreranno. C’è anche  un secondo aspetto rispetto agli anni '70, ed è rappresentato da una presenza più consapevole nel ruolo lavorativo e  più attiva nell’ affermarsi  professionalmente.

 E proprio perché il lavoro è diventato un fattore costitutivo della propria identità anche la scelta della maternità non viene vissuta in opposizione; anche se con fatica vengono  tenuti insieme ambedue i  piani.  Anche le difficoltà che le giovani donne affrontano nel  ritornare al lavoro dopo la maternità, sono interpretabili come un desiderio di tenere insieme le due realtà, come un “doppio sì”   al lavoro e alla maternità come rilevano le esperienze narrate nel quaderno della Libreria delle donne di Milano (2008).

 

I cambiamenti

 

Questa presenza massiccia delle donne nel mondo del lavoro quali cambiamenti adombra? Più donne al lavoro non significa solo un sommarsi alla situazione precedente, ma anche portare nel lavoro una diversa modalità di pensare e vivere il lavoro. Le donne ci sono nel lavoro ma in una maniera diversa da quella degli uomini: il significato del lavoro è meno riducibile alla dimensione economica e contempla anche altre dimensioni, dal “senso” del lavoro inteso soprattutto negli ambienti pubblici come servizio,  alla soddisfazione per gli aspetti relazionali e alla messa in azione di  modalità più cooperative negli ambienti di lavoro. Sono  aspetti che emergono nelle numerose ricerche  sul benessere organizzativo condotte in numerose organizzazioni negli ultimi anni. Anche i fatti riportati dalla stampa di donne arrivate  all’apice della carriera che decidono di passare ad altro lavoro o di interromperla  mostrano un’adesione minore alla  “mistica” maschile del lavoro. In altri termini c'è una presenza attiva nel mondo del lavoro ma con un atteggiamento meno di identificazione  rispetto agli uomini.

L’altro campo  in cui emerge  un desiderio di innovazione,   è quello  della conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di vita che  sottostà alla richiesta di una maggiore flessibilità degli orari di lavoro. Con forza, ad esempio, le donne hanno posto il problema del part-time su cui si è discusso tanto. Io ricordo che una delle prime regolarizzazioni risale all'inizi degli anni '70 nel settore del commercio, dove si impose  nonostante  la reticenza sindacale.

La presenza  di giovani donne con i figli da accudire ecc. pone problemi di organizzazione e gestione dell’orario di lavoro diversi dal passato, problemi a cui il sindacato e le imprese non sanno o fanno fatica a rispondere, ancora  legati al modello tradizionale del “male breadwinner”.

Dal punto di vista più generale la maggiore presenza del donne nel mondo del lavoro, comporta un'attenuazione dei confini tra la sfera del privato e la sfera del lavoro:  le donne portano tutto al mercato,  sono nel lavoro con tutto se stesse, e questo comporta  un'attenuazione dei confini su cui  si regge la tradizionale  organizzazione familiare e lavorativa. Certo, questo vuol dire che il lavoro invade di più la vita,  possiamo però dire rovesciando i termini  che anche la vita invade di più il lavoro.  Come ripensare e rinegoziare  l’organizzazione del lavoro  è  di conseguenza il grande interrogativo su cui riflettere insieme donne ed uomini.

Un altro aspetto da sottolineare è che la presenza delle donne ha portato un po' più di civiltà nei rapporti tra i sessi negli ambienti di lavoro. Per esempio ha indotto certe organizzazioni ad adottare codici di condotta per la prevenzione delle molestie sessuali, oggi parte integrante degli stessi contratti nazionali di lavoro. Occupandomi di questo ho avuto modo di constatare qualche cambiamento.  Porto ad esempio la questione dei  “calendari”,  vere e proprie molestie sessuali visive e indicatori  di solito di un clima sessista, la cui rimozione  in parecchi casi ad opera dei comitati di pari opportunità, ha obbligato le organizzazioni, ma anche i colleghi e i dirigenti uomini a ragionare su queste questioni con una maggiore attenzione e rispetto della differenza di genere.

 

L'atteggiamento degli uomini

 

Come reagiscono i colleghi maschi a questa presenza massiccia, attiva e consapevole delle donne? Quali pratiche di lavoro vengono messe in discussione da un diverso approccio delle donne al lavoro? Una delle cose che ho avuto modo di osservare è che, per esempio, rispetto ad un lavoro mangia-tempo, mangia-tutto, a meccanismi di carriera competitivi e totalizzanti che le donne hanno denunciato da tempo,  emerge una minore adesione anche da parte degli uomini. Quanto questo dipenda dalle nuove esigenze portate dalle donne, dallo messa in discussione di questi meccanismi  è difficile dirlo. Ho notato però, nei casi che ho seguito negli ultimi quindici anni, rispetto al passato una maggiore adesione a quanto le donne già da tempo hanno evidenziato sui costi della “carriera”. Anche le  indagini sul benessere organizzativo condotte nel settore pubblico, mostrano che certi modelli di carriera cominciano ad essere pesanti anche per gli uomini.

Ho notato, sempre nell’ambito dei progetti che ho seguito,  una maggior attenzione alla dimensione relazionale e di ascolto anche da parte dei lavoratori. In un progetto che ho avuto modo di seguire e che aveva l'obiettivo di individuare un  “Punto di ascolto”  all'interno dell'organizzazione, emergeva il bisogno   di “dialogo”,  la richiesta di una maggiore attenzione al  sistema delle relazioni e  la necessità di una maggiore cooperazione  nell’organizzazione sia da parte delle donne che degli uomini..

Un altro tema su cui si può notare qualche lieve cambiamento, è quello della conciliazione tra responsabilità familiari e professionali.  Le nuove generazioni hanno un rapporto diverso con la genitorialità  e questo comincia a vedersi anche sui luoghi di lavoro. I giovani padri  esprimono una comprensione maggiore nel rapporto lavoro/paternità, anche se bisogna aggiungere che  il numero  di coloro che poi concretizzano tale comprensione nell’utilizzo dei congedi parentali è ancora molto ridotto. Un progetto che abbiamo realizzato in un ente pubblico e che era partito dal Comitato Pari opportunità (parlando di maternità, condizioni di lavoro, part-time) è stato modificato in corso d’opera  perché si è avvertita  l’esigenza di coinvolgere  anche i neo padri e non solo le neo madri. Sono state  realizzate delle interviste ai giovani padri  ed è  emerso  un atteggiamento molto aperto rispetto al  “vissuto” della paternità e  al desiderio  di poter passare del tempo con i figli.  Per quanto ancora non di grande ampiezza, sulla spinta dei cambiamenti avvenuti all'interno della famiglia  e delle esigenze  poste dalle donne nei luoghi di lavoro, nei comportamenti degli uomini  nel lavoro si può cogliere  il “peso” della conciliazione. Per molti assolvere a responsabilità in campo lavorativo impedisce il dedicarsi alla cura dei figli, o quantomeno questa responsabilità  viene vissuta in contraddizione con le responsabilità familiari. C’è da sottolineare che le aziende fanno fatica a concedere i permessi previsti, e che i colleghi  “vedono male” chi si pone in aspettativa (è “un mammo”).  E’ certamente più difficile per i padri usufruire dei congedi parentali o liberare del tempo di lavoro da dedicare ai figli perché non c'è ancora una piena legittimazione sociale.

Qualche altro lieve indizio di cambiamento culturale che ho notato  è il venir meno di quella che possiamo chiamare la complicità maschile in alcuni casi di  molestie sessuali che ho seguito personalmente  nel ruolo di Consulente di fiducia previsto dai codici di condotta per la prevenzione delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. I colleghi del “molestatore” hanno immediatamente riconosciuto che si era in presenza di un comportamento lesivo della dignità  femminile e hanno contribuito al ripristino di un clima civile nelle relazioni tra i sessi. Alla Provincia di Milano qualche anno fa in occasione della giornata internazionale contro la violenza, l'assessore al personale Daniela Gasparini ha sottolineato come non si debba solo parlare alle donne ma occorra  incominciare a parlare anche agli uomini,  d'altra parte la violenza è di là che proviene.  Il progetto dal nome “Libere e felici”   attraverso un percorso parallelo ha coinvolto sia le donne che uomini con incontri e seminari di  riflessione sul tema della violenza di genere. Anche in questo caso l'attenzione non è stata superficiale e vi è stato un coinvolgimento  nel discutere di temi che chiamano in causa la propria identità di genere e  che “normalmente” non trovano spazio nei luoghi di  lavoro.

Questi spunti  meriterebbero di  essere approfonditi anche attraverso incontri come questi che stiamo realizzando ora, anche se non mi nascondo che sono  ancora largamente presenti nella nostra società stereotipi sui ruoli di genere  frutto della combinazione di  fattori strutturali e di contesto con elementi di carattere culturale e valoriale.

 

Come proseguire

 

Come proseguire? In un testo pubblicato sul Corriere della Sera del 21 agosto 2009  - “La forza delle donne in dieci punti-  Umberto Veronesi  auspica un nuovo femminismo e osserva che le donne  non vanno in piazza. Molto probabilmente la corretta questione è: “andare insieme”! Per la mia esperienza per quanto riguarda il mondo del lavoro,  è necessario che donne e uomini vengano coinvolti e discutano insieme sul  come costruire le condizioni per la valorizzazione della differenza di genere. Un’occasione può venire dalla crisi economica. Le donne sicuramente sono quelle che pagheranno di più perché più presenti nei lavori più deboli, nei lavori atipici e nelle piccole imprese. Ma  le prime ricerche fatte in Gran Bretagna mostrano  che la crisi sta determinando una maggiore espulsione dal mercato del lavoro dei lavoratori  soprattutto nel settore manifatturiero che tradizionalmente impiega uomini. Questo diverso impatto della crisi  comporterà un cambiamento del modello tradizionale del “lavoratore capofamiglia” che ancora sopravvive nella cultura per quanto smentito dai fatti? Come molti analisti affermano, l’uscita dalla crisi comporterà un cambiamento notevole nell’economia e nel lavoro,   forse può costituire l'occasione per rimescolare le opportunità tra donne ed uomini  e per  ripensare e rinegoziare   i ruoli tradizionali all’interno della famiglia e nel lavoro.  Zigmut Bauman in un articolo sull'inserto di Repubblica, invita a riflettere sul probabile impatto che le nuove condizioni economiche  avranno su  aspetti importanti della vita di tutti i giorni come ad esempio la  definizione e la suddivisione dei ruoli all’interno della famiglia. Poiché la riduzione del lavoro è probabile che avvenga in misura maggiore nei settori dove gli uomini sono più presenti,  ed in misura minore nei settori  dei servizi dove lo sono le donne,  la tradizionale organizzazione della vita familiare potrebbe essere messa fortemente in discussione dal venir meno del ruolo del marito/padre  come sostentatore della famiglia. E  si chiede se la logica economica travolgerà il ruolo classico tra uomo e donna.

Concludendo,  mi sembra che se il lavoro ritorna al centro dell'azione sociale e politica, sicuramente l'esperienza che le donne hanno maturato in questi anni e i cambiamenti culturali che hanno innescato, possono essere il punto di partenza per ripensare, rivedere, negoziare un modo diverso di “stare” nel lavoro  costruito insieme da donne ed uomini.

 

 

e a essere tema di infuocati dibattiti