Salmo  39

Di Davide

 

Ho detto: “Veglierò sulla mia condotta

per non peccare con la mia lingua;

porrò un freno alla mia bocca

mentre l'empio mi sta dinanzi”

Sono rimasto quieto in silenzio: tacevo privo di bene,

la sua fortuna ha esasperato il mio dolore.

Ardeva il cuore nel mio petto,

al ripensarci è divampato il fuoco;

allora ho parlato:

“rivelami, Signore la mia fine;

quale sia la misura dei miei giorni

e saprò quanto è breve la mia vita”

 

Vedi, in pochi palmi hai misurato i miei giorni

e la mia esistenza davanti a te è un nulla.

Solo un soffio è ogni uomo che vive,

come ombra è l'uomo che passa;

solo un soffio che si agita,

accumula ricchezze e non sa chi le raccolga.

 

Ora che attendo, Signore?

In te la mia speranza.

Liberami da tutte le mie colpe,

non rendermi scherno dello stolto.

Sto in silenzio, non apro bocca,

perché sei tu che agisci

 

Allontana da me i tuoi colpi:

sono distrutto sotto il peso della tua mano.

Castigando il suo peccato tu correggi l'uomo,

corrodi come tarlo i suoi tesori.

Ogni uomo non è che u soffio.

 

Ascolta la mia preghiera, Signore,

porgi l'orecchio al mio grido,

non essere sordo alle mie lacrime,

poiché io sono un forestiero,

uno straniero come tutti i miei padri.

Distogli il tuo sguardo, che io respiri,

prima che me ne vada e più non sia.

 

 

Commento

 

Il carattere di questo salmo è la sua forte intensità e interiorità.

 

Parte da una riflessione del salmista su se stesso, che ha deciso di tacere perché è facile sbagliare parlando.  ( “Chi non ha sbagliato con la lingua?” Sir. 19,16 ). Ma poi per la sofferenza e per l’angoscia interiore non riesce a trattenersi..

 

E la sua esternazione è un lamento e una supplica che unisce la situazione personale a quella universale, alla condizione umana.

L’uomo è caduco, fragile, è come erba che alla sera è già secca, come un soffio impalpabile, un’ ombra che non conosce neppure la durata dei suoi giorni.

 

Il salmista, nella tradizione ebraica, lega la sua sofferenza al proprio peccato e ora tace di fronte a Dio, sapendo di essere in colpa.

Il peccato è come un’ aggravante della caducità e Dio consente la sofferenza a scopo di correzione.

Così l’orante si rivolge al Signore, perché l’ ascolti e “distolga lo sguardo” per ritrovare sollievo.

 

Il salmo va  considerato soprattutto per la sua capacità di esprimere la drammaticità della condizione umana, il vivere di ognuno di noi coi suoi problemi, la sua fatica, i suoi malanni, la sua conclusione.

 

Se viene attribuito a Dio il consentire la sofferenza, ci si rivolge comunque a lui, sapendo che è il solo che può dare una risposta. Rimane ferma la speranza non nella resurrezione (ancora non presente come prospettiva), ma nel Signore, sapendo che da lui viene la salvezza.

 

Anche la riflessione sulla caducità della vita umana va considerata non solo in se stessa, ma anche in rapporto all’ eternità di Dio: costituisce allora una presa di coscienza dei nostri limiti e un riconoscimento della grandezza divina.

 

Per concludere il salmo parla di situazioni che abbiamo provato o che conosciamo.

E se non offre risposte esplicite e argomentate, ne offre una sostanziale: rivolgersi con fiducia al Signore.

 

Quante volte anche noi attraversiamo momenti di difficoltà senza trovare una risposta. Non basta certo una preghiera per farci superare il  disagio e la tristezza. Ma proprio allora è importante che rimanga ferma la nostra fiducia nel Signore.

 

 

 

Settembre 2009