Il campo di prigionia del 1915 non aveva praticamente nulla in comune
con quello munito di camera a gas e di forni crematori degli
anni Quaranta.
Eppure ritrovarsi tra le mani le lettere che riportano la testimonianza
in "presa diretta" di un prigioniero di Mauthausen tra il
1915 e il 1918 fa ugualmente un grande effetto.
E si deve alla Società storica abbiatense se questo volumetto
ha visto la luce, se questa testimonianza dignitosa ma non per questo
meno disperata di un prigioniero dell'Impero austriaco è riuscita
a giungere fino a noi.
Battista Origgi fu preso nel giugno 1915, praticamente alla prima azione
sul fronte. In un battibaleno le sue ambizioni militari svanirono: la
sua compagnia accerchiata e disarmata; il "campo della gloria"
subito tramutato nel disonore della cattura.
In pochi giorni Battista Origgi arriva a Mauthausen. Qui è stato
allestito un campo di concentramento: gli austriaci erano ottimisti
sull'andamento del conflitto; pensavano di fare molti prigionieri, e
avevano per tempo attrezzato una struttura adeguata a riceverli. Il
campo doveva sorgere dove poi fu fatto edificare, in pietra, il Lager
nazista.
Non aveva le sinistre costruzioni nel campo conosciuto dai deportati
di mezza Europa negli anni Quaranta, ma non era per questo meno opprimente.
Le lettere di Battista Origgi da Mauthausen seguono l'andamento, giorno
per giorno, del suo umore, delle sue speranze e delle sue disillusioni.
E l'andamento stesso del conflitto, con gli alti e bassi delle fortune
delle armate imperiali austriache.
Prima pochi biglietti, poi lettere più distese, con la richiesta
di pacchi, di pacchi, di pacchi: Battista Origgi chiedeva ai suoi di
inviargli abiti, romanzi d'amore, roba da mangiare, raccomandando che
l'abbigliamento fosse di buon taglio; anche in quel campo ci teneva
a fare buona figura.
Il conflitto si era impantanato nel fango delle trincee. Il fronte non
si schiodava dalle montagne dove italiani e austriaci si fronteggiavano
in uno stillicidio di inutili assalti.
E la Croce Rossa era riuscita ad attivare un efficiente sistema di comunicazione
attraverso i due eserciti, in una direzione come nell'altra: mentre
i fratelli si sparavano, qualcuno provvedeva a recapitare messaggi e
pacchi delle famiglie ai prigionieri dei due versanti.
Le lettere di Battista Origgi coprono l'arco di tutto il conflitto.
Piano piano le pretese di eleganza lasciano spazio a richieste più
elementari: nel campo c'è sempre meno da mangiare: tutti dimagriscono
a vista d'occhio, è vitale che i familiari riescano a inviare
derrate alimentari. "Ti ricordi, babbo, scrive il 10 maggio 1917,
quando mi rimproveravi perché sprecavo qualche tozzo di pane?
Quando volevo fare il delicatino?
E tu mi dicevi le famose parole: 'Bada che un giorno non abbia a mangiare
le briciole di pane?!'. E' venuto quel giorno, babbo".
In un messaggio scritto con una calligrafia minutissima su un foglietto
affidato a un amico liberato (e quindi sfuggito alla rigida censura
militare) Battista Origgi può scrivere finalmente era il
19 marzo 1918 quello che vede con i suoi occhi: "Ho passato
una quarantina di giorni che credevo proprio di fare la fine del Conte
Ugolino: la frontiera era chiusa e quindi pacchi non ne arrivavano,
il rancio era ridotto a metà, e cioè un po' di barbabietole
alla sera e brodo di cipolle con 150 grammi di pane di tutti i colori
a mezzogiorno: potete immaginarvi in quali condizioni disperate mi trovavo,
vi basti sapere che in un mese sono morti più di mille uomini
sfiniti per la fame".
Disperato, abbandona la diplomazia dei biglietti postali, sottoposti
alla censura del campo; chiede aiuto, raccomanda di non mollare, o per
lui, assicura, non ci sarà un futuro. E' una lettera drammatica:
il conflitto per l'Austria sta andando male; l'Impero non ha neppure
di che sfamare il suo esercito (quello che aveva disceso i monti "con
orgogliosa sicurezza"), i prigionieri italiani ne fanno le spese
per primi.
Nome sinistro davvero quello di questa cittadina austriaca, eppure ancor
oggi così ridente, pulita e tranquilla, adagiata lungo il Danubio.
Già quasi 30 anni prima dell'immane eccidio nazista altre migliaia
di prigionieri di guerra vi hanno conosciuto la fame, gli stenti, la
degradazione fisica e morale, hanno maledetto il nome di Mauthausen
nel ricordo della casa lontana. Quelle di questo volumetto sono lettere
struggenti, che arrivano al cuore nonostante le arcaiche forme lessicali
dell'epoca, le preoccupazioni piccolo-borghesi, le ingenuità
politiche dell'autore. Come tanti deportati della seconda guerra mondiale,
anche Origgi scrive, si appiglia a ogni mezzo pur di fare avere notizie
ai familiari rimasti a casa, per ricordare i tanti che anche dalla prigionia
combattevano e pativano la fame.
A distanza di 80 anni dalla loro stesura, queste lettere appassionate
lanciano ancora con forza intatta il loro grido di dolore: un grido
contro la guerra che viene da Mauthausen.
Quando da Mauthausen era ancora lecito pensare di scrivere a casa.
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