Resiste ancora nelle Orcadi la splendida cappella degli internati militari
Sulle carte turistiche delle isole
Orcadi, all'estremo Nord della Scozia, è segnato, in prossimità
della località di Lambholm, un puntino che identifica la "Cappella
Italiana". Un punto di attrazione tra i tanti delle isole, spazzate dai
venti del Nord e disseminate di importanti reperti preistorici di eccezionale
valore culturale e storico. La "Cappella Italiana" di Lambholm, insieme a una singolare statua di cemento raffigurante San Giorgio che uccide il drago, è quanto rimane oggi, a oltre mezzo secolo di distanza, di un campo di concentramento per militari italiani durante la seconda guerra mondiale. Un reperto eccezionale, visitato ogni anno da alcune migliaia di turisti, ma praticamente sconosciuto nel nostro paese. Per la loro collocazione geografica, proprio sulla punta dell'isola britannica, le Orcadi hanno sempre rappresentato un punto strategico importante per il controllo della navigazione nel Mare del Nord. E non è dunque strano che la Marina di Sua Maestà avesse installato proprio in una delle insenature naturali del piccolo arcipelago una importante base navale. Approfittando di una alta marea eccezionale, durante l'ultima guerra un sommergibile tedesco riuscì tuttavia a insinuarsi tra un'isola e l'altra e ad affondare diverse unità della flotta britannica. Costernato per lo scacco subito, Churchill decise di erigere a difesa del porto militare delle barriere artificiali che chiudessero gli accessi tra un'isola e l'altra. Sopra le barriere sarebbero state costruite delle strade carrozzabili, in modo da accelerare anche i contatti terrestri tra le unità di stanza nelle Orcadi. Alla costruzione delle barriere e delle strade furono impegnati alcune centinaia di militari italiani catturati in Nord Africa. Per loro, nelle difficilissime condizioni climatiche delle isole, furono erette 13 rozze baracche di lamiera. Il lavoro era duro, le condizioni ambientali più che disagevoli, ma anche grazie alla tolleranza dei responsabili della sicurezza del campo non mancarono momenti di svago. Dopo qualche mese una delle baracche fu addirittura adibita alle attività del tempo libero, con un teatrino artigianale e un altrettanto artigianale tavolo da biliardo. Quando ormai i lavori di costruzione delle barriere artificiali nei canali tra un'isola e l'altra erano praticamente terminati, a qualcuno venne in mente di allestire in una baracca una piccola scuola e di costruire un altare dove il cappellano, padre Gioachino Giacobazzi, potesse celebrare la messa per gli internati. Il capo del campo, l'allora Maggiore Buckland, diede il suo assenso, anche dopo aver preso visione del "progetto" di massima buttato giù in fretta da un militare di Moena, Domenico Chiocchetti, dotato di non comuni capacità artistiche. Lo stesso Chiocchetti, utilizzando una vecchia matassa di filo spinato arrugginito e del cemento, aveva già dato prova del suo estro, scolpendo la statua di San Giorgio che vigilava sull'ingresso del campo degli italiani. L'artista di Moena mise insieme una piccola squadra di entusiasti come lui: tra gli altri c'erano un Buttapasta, cementista, un Palumbo fabbro, Primavera e Micheloni, elettricisti e altri - Barcaglioni, Battato, Devitto, Fornasier, Pennisi, Sforza - che si buttarono nell'impresa. Non fu una cosa semplice. Per mesi in ogni minuto libero, utilizzando materiali di risulta, la squadra si dedicò alla trasformazione del capannone. La lamiera ondulata fu coperta di intonaco nella parte dell"'abside". L'altare, il parapetto, la pila dell'acqua santa, tutti disegnati dal Chiocchetti, furono modellati nel cemento dal Buttapasta e dai suoi aiutanti. Sulle due finestre furono istoriate le figure di San Francesco e di Santa Caterina. Sopra l'altare Chiocchetti dipinse in poche settimane una Madonna con il Bambino, copiandoli da una immaginetta che si era portato con sé dal paese. La cappella veniva bene, e man mano che procedevano i lavori altri internati si offrirono di contribuire. Con il denaro del fondo di beneficenza per i prigionieri fu acquistato del damasco dorato da una ditta di Exeter. E poi entrò in azione il fabbro Palumbo, specializzatosi negli anni dell'emigrazione in America, che, finalmente ottenuto il materiale, fece due candelabri in ferro battuto (mentre Primavera ne ricavava quattro d'ottone, utilizzando come materia prima gli ottoni di una nave affondata). Sempre dalla nave, fu ricavato il legno per il tabernacolo, costruito da un falegname, mentre Chiocchetti, ormai irrefrenabile, prendeva ad affrescare la volta dell' "abside" con le figure degli Evangelisti accompagnati da diversi cherubini. Il contrasto tra quell'angolo istoriato e il resto del capannone, rimasto allo stadio di partenza, suggerì al Palumbo l'idea di costruire una cancellata in ferro battuto, che rimane il capolavoro del piccolo fabbro emigrato in America e catturato in Africa. Anche il comandante del campo a quel punto si convinse definitivamente della bontà del progetto, e si diede da fare per procurare agli internati tanto stucco quanto ne bastava per coprire l'interno dell'intero capannone. I pannelli furono fissati a una intelaiatura in legno, avendo cura di lasciare una intercapedine tra la lamiera e lo stucco. Quindi Chiocchetti e i suoi si affrettarono ad affrescare il tutto, dipingendo falsi mattoni per tutta la lunghezza del capannone. Il cementiere Buttapasta si dedicò a quel punto all'esterno, costruendo in cemento una piccola elegante facciata alla cappella, con due colonnine che reggevano un piccolo porticato. A decorazione finale fu aggiunto un piccolo campanile, mentre il pittore Pennisi, fatto venire da un altro campo di prigionia a dare manforte al progetto, scolpiva in un tondo di argilla rossa un volto sofferente del Cristo, che l'inclemenza del tempo delle Orcadi si affrettò a guastare, rendendolo, se possibile, ancora più suggestivo. La liberazione colse la squadra in prossimità dell'obiettivo: la cappella era quasi terminata. E il Chiocchetti non ci pensò su due volte, decidendo di fermarsi ancora qualche giorno per completare il suo progetto. Alla sua partenza, Sutherland Greame, Lord luogotenente delle isole, promise che avrebbe curato la cappella, nel frattempo solennemente consacrata. Lord Sutherland fu di parola, preoccupato del fatto che i poveri materiali utilizzati rendessero precaria la conservazione della originalissima costruzione, nel frattempo oggetto di visite da parte degli abitanti delle isole. Ai visitatori si cominciarono a chiedere delle donazioni per contribuire ai "restauri", e fu costituito un comitato di salvaguardia. Il caso della Cappella Italiana arrivò alla Bbc, che realizzò una trasmissione di grande successo sul caso, e nel 1960 finanziò il viaggio a Domenico Chiocchetti, "richiamato in servizio" a gran voce per rimettere mano alla sua opera. Il nostro prese armi e bagagli da Moena e tornò nelle isole nelle quali era stato internato e dove aveva lavorato per le fortificazioni volute da Churchill: accolto come un eroe, si dedicò per diversi giorni a ritoccare e a ridipingere, e prima della sua partenza la cappella fu solennemente ridedicata, con una funzione alla quale parteciparono oltre 200 abitanti delle Orcadi. Tra la cittadina di Moena, nel Trentino, e gli abitanti delle sperdute isole del Nord della Scozia si stabilì allora un legame che non si è interrotto. Il celebrante, padre Whitaker, concluse il sermone con queste parole: "Delle costruzioni che popolarono Lambholm durante la guerra, ne rimangono solo due: questa Cappella e la statua di San Giorgio. Tutto ciò che fu realizzato per i bisogni materiali è scomparso, ma queste due cose, realizzate per soddisfare i bisogni spirituali, rimangono. Nel cuore degli esseri umani il bisogno più vero e duraturo è la sete di Dio". L'ultima volta che un gruppo di costruttori visitò la cappella italiana di Lambholm fu cinque anni fa, nel '92. Da allora però migliaia di turisti hanno visitato questo straordinario segno di pace costruito in piena guerra, in una sperduta isola del Mare del Nord da un gruppo di militari internati italiani, nel bel mezzo del loro campo di prigionia. |