La vicenda di Francesco Arriciati, operaio di Sesto S. Giovanni, ucciso a Linz |
L'estremo saluto di Franco |
"Rosi, papà. Treno. Ciao baci" |
Il biglietto scritto a Casarsa, in Friuli, in una sosta del trasporto per Mauthausen. Cacciato sul vagone piombato nonostante il busto rigido alla schiena dopo l'incidente sul lavoro alla Breda. Suo figlio è nato tre mesi dopo la sua tragica fine. La solidarietà della gente alla stazione della cittadina friulana. |
Aveva compiuto trent'anni da pochi mesi Francesco
(per tutti Franco) Arriciati, operaio della Breda di Sesto San Giovanni,
come la moglie Rosina (Rosi, per lui). Franco e Rosi si erano sposati
in piena guerra dopo un fidanzamento lampo: lui era un tipo così, quando
prendeva una decisione non sopportava i tempi morti. Si erano conosciuti
in fabbrica, lei addetta ai controlli, lui agli enormi macchinoni dell'officina
grande. Dopo appena tre giorni dalla prima presentazione lui le aveva
chiesto di sposarla, senza tanti preamboli. "Come, tutto così in fretta?"
provò a reclamare lei. E lui, secco: "0 insomma; se è sì è sì, se è
no è no". E lei disse di si. Dopo tre mesi, a età del '43, fatte le
pratiche e sistemata la casa, erano marito e moglie. C'era la guerra,
arrivarono i bombardamenti. E vennero anche due aborti, uno dietro l'altro
e poi l'incidente sul lavoro. Era il 23 dicembre, ma non c'era un gran
clima natalizio, con la guerra in pieno corso e i tedeschi in giro a
farla da padroni. In fabbrica, poi, non era davvero il caso di parlare
di Natale: la Patria voleva armi, armi e poi altre armi, e le macchine
giravano a tutto vapore. Quel 23 dicembre una gru si era guastata e
Franco, che non era tipo da tirarsi indietro, cercò da solo di spostare
a mano un enorme proiettile. Il pezzo gli sfuggì dalle mani, cadendogli
addosso e rompendogli due vertebre. Soccorso, portato in infermeria
e poi all'ospedale fu ingabbiato in un busto rigido dalla vita alle
spalle. Se faceva un movimento brusco erano dolori lancinanti. Eppure,
dopo qualche mese di malattia, anche col busto lui si presentò alla
fabbrica. Il suo capo, un ingegnere che lo conosceva bene, lo mise ai
controlli: 'Fa' quello che puoi", gli disse. Gli scioperi del marzo
'44 lo colsero così, addetto ai controlli con il busto rigido. Alle
10 suonò la sirena e tutta la fabbrica si fermò. E lui, che con il Fascio
non aveva mai voluto aver niente a che fare, tanto da essere conosciuto
in fabbrica per non aver mai preso la tessera,
aderì alla manifestazione, come del resto praticamente tutti i suoi
compagni. Chissà, forse disse qualcosa che lo fece notare ai sorveglianti.
Forse quel suo busto rigido lo metteva inevitabilmente in evidenza.
0 forse anche qualcuno ce l'aveva già con lui fin da prima, per i suoi
discorsi contro la guerra. Di certo il suo nome finì sull'elenco di
quelli sui quali si scaricò violenta la rappresaglia fascista. Una notte,
sarà stata l'una e mezza, qualcuno bussò alla porta del suo appartamento,al
Rondò di Sesto. Rosi, al secondo mese di gravidanza, andò a vedere chi
fosse. Erano quattro repubblichini che cercavano Franco. Tra di essi,
tutti in borghese, il maresciallo De Spirito,
una vecchia conoscenza. Alle rimostranze della donna, preoccupata
per le cattive condizioni del marito, De Spirito rispose: "State tranquilla,
signora. Non siamo delinquenti, vedrà che tornerà a casa presto". Giù
c'erano altre quattro guardie in borghese, e la moglie vide così dalla
finestra otto uomini scortare via di casa il marito invalido, nel cuor
della notte. Portato con gli altri lavoratori sestesi arrestati nella
caserma "Umberto Primo" di Bergamo, Franco Arriciati cercò con ogni
mezzo di mettersi in contatto con la famiglia. Rosina riuscì a raggiungerlo,
e lui gli consegnò di nascosto brevi biglietti scritti clandestinamente:
raccomandazioni, consigli, incoraggiamenti pieni di affetto. Fino all'ultimo
foglietto (che riproduciamo): "Domani sabato senza fallo se puoi vieni.
Portami da mangiare e la valigetta. Se vuoi vedermi ti prego vieni,
partiamo probabilmente per la Germania. Tanti baci tuo Franco. Fai la
brava, ciao". Era il marzo del '44; un
venerdì 17. Attorno alle 13 i lavoratori rastrellati dopo gli scioperi
furono portati alla stazione di Bergamo e caricati sui carri merce,
destinazione Mauthausen. L'ultima corsa di Rosina fino alla caserma
'Umberto Primo" sarebbe stata inutile. |
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