Riuniti a Carpi con il sindaco e l'Aned i familiari dei Caduti e i superstiti del campo

Processo penale ai responsabili dell'eccidio del '44 a Fossoli

 

Domenica 14 luglio al Poligono di tiro di Cibeno, nel luogo in cui l'eccidio fu compiuto, è stato ricordato il 52° anniversario del sacrificio dei 67 Martiri di Fossoli dal sindaco di Carpi Demos Malavasi, da Carla Bianchi, figlia del martire Carlo Bianchi, e da Gianfranco Maris, presidente dell'Aned. La commemorazione ufficiale è avvenuta dopo la deposizione di alcune corone al cippo e dopo la celebrazione dei riti religiosi. Familiari, superstiti ed amici si sono poi recati a rendere omaggio al cippo che ricorda il brutale assassinio di Poldo Gasparotto, Medaglia d'Oro della Resistenza.
Una visita al campo di Fossoli ha purtroppo consentito di rilevare il grave stato di abbandono del campo e quindi l'impossibilità di utilizzare quanto resta del Lager come tappa educativa e informativa di un circuito della memoria nel nostro paese. Nel pomeriggio, nella sala del Consiglio comunale di Carpi i familiari dei fucilati e gli ex deportati superstiti che il 12 luglio '44 erano presenti nel campo e che furono quindi testimoni di quella drammatica vicenda.
Il sindaco di Carpi Demos Malavasi ha introdotto il tema politico, storico e morale dell'incontro: promuovere un'azione penale perché le SS responsabili dell'eccidio siano giudicate in un regolare processo davanti all'autorità giudiziaria italiana.
Egli ha ricordato che ora si conoscono non solo i nomi ma anche gli indirizzi dove vivono indisturbati il tenente Titho e il maresciallo Haage. Entrambi vanno giudicati, non essendo assolutamente rilevante l'età dei colpevoli quanto l'insopprimibile esigenza, in ogni tempo, di verità e di giustizia.
Il presidente dell'Aned Giarifranco Maris ha affrontato nel suo intervento una serie di temi rilevanti ai fini della decisione da prendere:
1. L'asserita legittimità della pretesa rappresaglia, come discriminante derivante da un preteso diritto internazionale.
2. L'asserita gli esecutori, dell'esistenza di un obbligo di obbedienza agli ordini, pena la morte in caso di disubbidienza;
3. La necessità, nonostante il lungo decorso del tempo, di celebrare i processi per crimini di
guerra, sia per la credibilità delle condanne che le forze democratiche di tutto il mondo si accingono a pronunciare nei confronti dei criminali di guerra di oggi (eccidi e pulizia etnica nella guerra serbo-bosniaca); sia, infine, perché le coordinate etiche, alle quali debbono guardare le generazioni che verranno, trovano sicuramente fondamento e conforto nelle pronuncie dell'autorità giudiziaria.
4. Identificazione di quale sia l'autorità competente a giudicare le SS non inquadrate in reparti impegnati sul fronte di guerra, ma preposte ai servizi di polizia politica : Tribunali militari o Corti d'Assise ordinarie?


Gianfranco Maris ha chiarito, innanzitutto, che "deve essere rimossa una volta per tutte la falsa affermazione che esista, nel diritto internazionale, un principio che ammetta la cosiddetta rappresaglia, così come viene comunemente intesa e cosi come veniva intesa dai nazisti, i quali si ritenevano in diritto di assassinare dieci italiani per ogni soldato tedesco caduto a seguito di azioni partigiane.
"La rappresaglia, ha proseguito il presidente dell'Aned, è istituto non solo sconosciuto in diritto internazionale, nei rapporti tra uno stato occupante e i cittadini di un paese occupato, ma è addirittura escluso.
Sul Corriere della sera del 2 dicembre '95 un giornalista ha scritto che la rappresaglia era legittima in quanto ammessa dalla legge internazionale di guerra" e che " il bando, che annunciava la rappresaglia di dieci contro uno, era affisso su tutti i muri e pubblicato su tutti i giornali".
Tutto ciò non è esatto, anche se, purtroppo, corrisponde al convincimento di troppi cittadiní. La cosiddetta rappresaglia è istituto di diritto internazionale che riguarda esclusivamente i rapporti tra Stati non in guerra tra di loro; nel senso che uno Stato che riceva una offesa priva di giustificazione da un altro Stato, con il quale non è in guerra, può per ritorsione - per rappresaglia, esattamente - condurre un'azione punitiva nei confronti dello Stato dal quale ha ricevuto l'offesa.
Questi principi sono stati ampiamente trattati, in dottrina penalistica ed in diritto internazionale, dai maggiori giuristi nostri come Ago, Capotorti, Migliazza, Venditti ed altri, soprattutto in seguito alla sentenza con la quale il Tribunale militare di Roma condannò, nel '46, Kappler all'ergastolo, assolvendo gli altri ufficiali perché "avevano obbedito agli ordini ricevuti" e ritenendo responsabile il solo Kappler perché "aveva ecceduto, violando le proporzioni".
Il Tribunale militare di Roma, cioè, ammise l'esistenza e la legittimità dell'istituto della rappresaglia su cittadini estranei ai fatti nel diritto internazionale di guerra, commettendo un errore concettuale, un errore di diritto (anche se, in definitiva, condannò Kappler all'ergastolo).
In diritto internazionale esiste soltanto la norma fissata dall'articolo 50 della Convenzione dell'Aja del 1907, recepita nel nostro ordinamento positivo del tempo dall'articolo 65 del Regio Decreto 8 luglio 1938, n. 1415.
In base a tale norma "nessuna sanzione pecuniaria o d'altra specie può essere inflitta alle popolazioni a causa di fatti individuali, salvo che esse possano esseme ritenute solidalmente responsabili".
Si tratta di sanzioni contro popolazioni coinvolte globalmente in atti che possono essere sanzionati soltanto con provvedimenti come la requisizione di beni, il divieto di circolazione, l'obbligo di rispettare orari di coprifuoco, e cosà via. Il bene inviolabile della vita può essere sacrificato soltanto per una responsabilità penale e personale.
D'altra parte, ha ricordato il presidente dell'Aned, gli stessi nazisti sapevano che l'istituto della rappresaglia non esisteva nei confronti dei cittadini dei paesi occupati.
Essi sapevano che in quei casi commettevano dei veri e propri delitti, per i quali sì sono sempre giustificati (per via Rasella come per l'eccidio di Fossoli) proclamando che avrebbero voluto clementi, risparmiando le vite dei condannati, ma che, a seguito degli attentati, non avevano potuto essere clementi ed erano stati costretti ad eseguire le condanne a morte già pronunciate.
Ciò che dicevano era falso, perché i fucilati non erano mai stati giudicati da nessun Tribunale: essi erano semplicemente cittadini in balia delle forze di polizia naziste e fasciste, senza che su di loro fosse neppure in corso una indagine di una qualsiasi autorità giudiziaria.
Che i nazisti agissero solo per odio e viltà, senza nessuna volontà di porre in essere l'essenza deterrente della rappresaglia, è dimostrato dal fatto che molte di queste pretese rappresaglie vennero perpetrate in segreto, come avvenne a Fossoli, dove fucilarono 67 detenuti del campo di polizia, senza che nulla sapessero i cittadini di Genova per i quali la rappresaglia era stata posta in essere. La pretesa "obbedienza agli ordini" è parimenti un giustificazione falsa, perché nel Codice penale militare tedesco anche allora vi era una norma che stabiliva che "il soldato rifiuta l'ordine illegittimo".
In questo senso del resto ha recentemente testimoniato al processo Priebke il capitano di vascello Gerhard Schreirer, addetto all'istituto storico dell'esercito tedesco.
Egli ha ricordato che a Trieste nel 1943, a Varsavia ed in Germania negli anni precedenti, ed in Corsica e anche in Italia furono numerosissimi i soldati e gli ufficiali tedeschi che si rifiutarono di mettere a morte cittadini non condannati dall'autorità giudiziaria. Gianfranco Maris ha ricordato a questo proposito un precedente di estremo interesse. Negli anni Settanta l'Aned promosse, avanti alla Procura presso il Tribunale di Trieste, giudice ordinario, l'azione per la punizione degli ufficiali delle SS che avevano comandato il campo di concentramento della Risiera di San Sabba.
Il giudice istruttore informò di ciò il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale militare di Padova, il quale aprì un analogo processo.
Di fronte a questo conflitto di competenza l'Aned presentò una memoria alla Corte di Cassazione a sezioni riunite. E questa stabilì che per giudicare i delitti delle SS non come reparto militare inquadrato in azioni di guerra, ma commessi come forza di polizia, era competente esclusivamente il giudice ordinario.
Fu così che gli ufficiali comandanti della Risiera di San Sabba furono condannati all'ergastolo dalla Corte d'Assise e dalla Corte d'Assise d'Appello di Trieste.
Alle relazioni del sindaco Demos Malavasi e del presidente dell'Aned Gianfranco Maris ha fatto seguito un ampio dibattito.
Al termine Malavasi e Maris hanno potuto trarre, come conclusioni operative, l'impegno di presentare in settembre una denuncia contro Titho e Haage perché il procuratore della Repubblica presso il Tribunale penale di Modena li persegua per i delitti commessi.