In data 15 febbraio '95 abbiamo inviato al suo
predecessore nella carica di direttore generale una lettera rimasta
senza risposta (evidentemente a causa del periodo di transizione) per
cui ci permettiamo di rinnovarla, contando su una sua risposta in merito.
La commissione preposta all'applicazione della legge 29.1.1994, n. 94,
relativa alla reversibilità dell'assegno vitalizio per gli ex deportati
nei campi di sterminio nazisti ha sollevato - a quanto ci riferiscono
i nostri rappresentanti dell'Anppia e dell'Aned in seno alla commissione
stessa - alcune perplessità per una corretta applicazione della legge
su due punti che a noi sembrano invece assai chiari. Glieli sottoponiamo
affinché ella possa sollecitamente intervenire onde eliminare ogni ostacolo
in merito.
1) La legge 17.12.1980 n. 791 stabilisce
che per avere diritto all 'assegno bisogna avere compiuto il 55°anno
di età, se uomini, e il 50° anno di età se donne. La legge n. 94 del
29.1.1994 afferma, all'art. 1, che "l'assegno è reversibile ai
familiari nel caso in cui abbiano raggiunto l'età pensionabile o siano
stati ritenuti invalidi a proficuo lavoro".
A prescindere dal riferimento alla legge n. 791 del 1980, che aveva
inteso giustamente privilegiare con l'abbassamento di cinque anni dell'età
allora pensionabile, una categoria di cittadini universalmente riconosciuta
come la più colpita dalle sofferenze della guerra e non potendosi invocare
lo stesso trattamento per i familiari, è pur tuttavia inoppugnabile
che, con l'età pensionabile, nei casi di reversibilità il legislatore
si riferisse alla normativa vigente al momento dell'emanazione della
legge, e cioè 60 anni per gli uomini e 55 per le donne.
Stabilire per tutti l'età pensionabile a 65 anni, prendendo a pretesto
"l'evoluzione normativa in materia" rappresenta una forzatura
che non corrisponde né alla lettera della legge, né allo stato dei fatti
attuale. Si reintrodurrebbe inoltre quella disparità di trattamento
rispetto ai perseguitati politici antifascisti e razziali che il legislatore
ha invece affermato di voler eliminare.
2) "La reversibilità dell'assegno
spetta anche ai familiari di quanti ( ... ) non hanno potuto fruire
del beneficio perché deceduti successivamente, anche dopo il rientro
in patria e prima dell'entrata in vigore della legge 17.11.1980, n.
791 ". Non era evidentemente intenzione del legislatore escludere
dal beneficio i familiari di quanti, per vari motivi, non hanno presentato
domanda dopo l'entrata in vigore della legge n. 791. E infatti il legislatore
si limita a penalizzarli, facendo decorrere il beneficio dell'entrata
in vigore della legge se l'istanza è stata inoltrata entro l'anno della
sua emanazione, e dal mese successivo all'inoltro della domanda negli
altri casi.
Pare evidente agli scriventi che lo stesso criterio debba valere per
i familiari dei deportati, ai quali non può essere fatta alcuna colpa
per la dimenticanza del dante causa. In taluni casi, poi, i deportati
non poterono inoltrare tempestivamente la domanda a causa di una errata
interpretazione della legge (gli internati nel campo di Bolzano furono
riconosciuti solo nel 1986). Non si può quindi fare alcuna discriminazione
tra familiari di ex deportati che hanno subito le medesime vicissitudini
e sofferenze.
Unica eccezione può aversi quando il dante causa dichiari o abbia dichiarato
esplicitamente di non volere, per fondati motivi, che il familiare superstite
abbia a fruire del beneficio. Anche qui soccorre l'esempio dei familiari
dei perseguitati antifascisti, nessuno dei quali è mai stato escluso
dal beneficio a causa della trascuratezza del dante causa.
Fiduciosi che vogliate prendere in considerazione il presente esposto
e dare le necessarie disposizioni alla competente commissione, porgiamo
distinti saluti.
Il presidente dell'A.N.E.D. sen. Gianfranco
Maris
Il v. presidente dell'A.N.P.P.LA. on. Pietro Amendola
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