Giustamente il Comitato esecutivo per la celebrazione
del 50° anniversario della Liberazione della Resistenza e dell'Autonomia,
ricordando il sacrificio dei partigiani, ha voluto mettere a fuoco anche
il particolare destino che è toccato ai partigiani ebrei, in quanto
ebrei, con una targa che ricorda l'arresto di Vanda Maestro, Luciana
Nissim e Primo Levi.
Ci sembra giusto ricordare che l'apporto numerico degli ebrei alla Resistenza
è stato in percentuale ben più alto di quello medio della popolazione
italiana. Malgrado ciò non è esistita una vera e propria organizzazione
ebraica antifascista. Da una ricerca effettuata dalla nostra comunità
sul partigianato ebraico piemontese è emerso che la collaborazione alla
lotta antifascista era sentita più come un'istanza morale nei confronti
della società oppressa che come una risposta di ebrei al nazifascismo.
Gli ebrei italiani erano e si sentivano molto assimilati e integrati
nella società, e tale assimilazione ed integrazione li portò talvolta
anche a schierarsi con i fascisti e numerosi furono coloro che cercarono
fino all'ultimo di non vedere e di non capire cosa stava succedendo.
Ma la sorte degli ebrei era destinata ad essere comunque ben peggiore
di quella di tutti gli altri italiani, fossero essi semplici cittadini
o partigiani.
Nella retata che questa targa ricorda, furono arrestati Vanda Maestro,
Luciana Nissim e Primo Levi. I nazifascisti non riuscirono a trovare
nulla di compromettente a loro carico, se non il loro essere ebrei e
per essi ci fu la deportazione.
Testimonia infatti Primo Levi in "Se questo è un uomo": "... Tre
centurie della Milizia, partite in piena notte per sorprendere un'altra
banda, di noi ben più potente e pericolosa, annidata nella valle contigua,
irruppero in una spettrale alba di neve nel nostro rifugio e mi condussero
a valle come persona sospetta...".
Testimonia Luciana Nissim: "... venimmo arrestati dai fascisti
il 13 dicembre 1943, e trasportati ad Aosta, dove, scoperta la nostra
origine ebraica, venimmo poi avviati a Fossoli e di lì deportati il
22 febbraio 1944 ad Auschwitz. ( ... ) lo, trasferita prima in un campo
di lavoro e poi a Lipsia, riuscii a fuggire dalla grande fila delle
deportate verso il 20 aprile e raggiungere gli americani il 25 aprile
1945. Rientrai in Itanlia nel luglio". Luciana Nissim sposata Momigliano
è diventata un'affermata psicanalista e vive ora a Milano.
Della tragica fine di Vanda Maestro abbiamo la testimonianza di un anonimo
compagno di prigionia raccolta da Gina Formiggini nel suo libro "Stella
d'Italia, Stella di David - Gli ebrei dal Risorgimento alla Resistenza",
di cui riporto qualche brano: "Aveva 24 anni, da poco tempo aveva
conseguito la laurea. ( ... ) Per lei, come per i migliori di quel tempo
e di quella condizione, la scelta non era stata facile, né gioiosa né
priva di problemi. ( ... ) Non era una donna naturalmente forte, e più
ancora della morte temeva la sofferenza fisica. La forza che in quei
giorni dimostrava si era maturata a poco a poco, era il frutto di un
proposito maturato momento per momento. ( ... ) E tutto, o quasi tutto,
sappiamo della sua fine: il suo nome pronunciato tra quelli delle condannate,
la sua discesa dalla cuccetta dell'infermeria (in piena lucidità) verso
la camera a gas ed il forno di cremazione".
Anche giovani che non facevano parte di agguerriti gruppi politici e
si erano forse limitati a scambiare le proprie idee antifasciste tra
amici ad un certo punto avevano sentito il dovere di rendersi attivi
nella Resistenza, pur non avendone l'adeguata preparazione tecnica e
fisica. Ci spiega Primo Levi: "Non mi era stato facile scegliere
le vie della montagna, e contribuire a mettere in piedi quanto, nella
opinione mia e di altri amici di me poco più esperti, avrebbe dovuto
diventare una banda partigiana affiliata a "Giustizia e Libertà". Mancavano
i contatti, le armi, i quattrini e l'esperienza per procurarseli; mancavano
gli uomini capaci ed eravamo invece sommersi da un diluvio di gente
squalificata, in buona e in mala fede, che arrivava lassù dalla pianura
in cerca di un'organizzazione inesistente, di quadri, di armi, o anche
solo di protezione, di un nascondiglio, di un fuoco, di un paio di scarpe".
Forse il ricordare questi particolari può aiutarci a non fare della
vuota retorica. Affinché queste commemorazioni non si esauriscano negli
aspetti esteriori ognuno di noi deve ricordare che il sacrificio di
tanti partigiani è stato fatto per noi, per darci un mondo migliore
di
cui noi oggi siamo responsabili. Noi ebrei abbiamo forse imparato in
particolare a non spogliarci mai della nostra identità e che proprio
sulla base di questa identità dobbiamo cercare di far fronte alle istanze
della nostra coscienza e all'insegnamento dei nostri maestri per i quali
ogni individuo porta la personale responsabilità di tutto ciò che accade
nel mondo.
Lia Montel Tagliacozzo
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