Il mio e un appello: facciamo entrare i giovani nelle nostre sezioni,
non perdiamo questa occasione
ALBERTO DUCCI
- Amici e compagni, quello che voglio dire è un appello, è
un invito che voglio fare a tutti, perché parlandone appunto
con il Presidente Maris mi ha detto che non ci sono problemi ad affrontare
il fatto di portare all'intemo delle nostre sezioni i giovani dell'Aned.
Vi invito a farlo perché questi possono venire a far parte a
pieno titolo e perché noi abbiamo veramente bisogno di loro.
Molti docenti e studenti di ritomo da questi viaggi, che molte istituzioni
definiscono viaggi di studio, e che noi invece chiamiamo pellegrinaggi,
ci chiedono di collaborare con noi. E noi non possiamo perdere questa
occasione; noi ci rendiamo conto che al di là di tutte le nostre
capacità, di tutto il nostro impegno le energie sono quelle che
sono, quindi rischiamo di non farcela, o di non potere soddisfare tutte
le richieste che ci vengono fatte per organizzare e portare avanti la
conoscenza, per dare, come dice la nostra parola d'ordine: alla memoria
un futuro. Quindi quello che noi faremo
di ritorno dal congresso sarà proprio quello di fare una specie
di assemblea costituente per dare ufficialità a quegli
amici che vorranno far parte della nostra associazione.
Non tutti possiamo permetterei di scrivere un libro con le nostre memorie,
e magari anche con il rischio di ripeterci. Noi a Firenze stiamo cercando
di lavorare per creare delle videocassette con delle brevi testimonianze
della durata di 15-20 minuti perché si possano proiettare nelle
scuole e che queste poi possano stimolare un dibattito sulla deportazione,
quella che è stata e quello che vogliamo che la gente sappia.
1 compagni di Firenze lo sanno, io sono sempre stato contrario a parlare
di ciò che abbiamo sofferto e subito per sollecitare magari commozione
o pietà da parte di chi ci ascolta. Noi dobbiamo dare valore
a quello che si è fatto in quei giorni
quando parliamo di scelte, quando parliamo dei ragazzi che eravamo,
ed eravamo anche degli sprovveduti, perché qui il mio gemello
Italo Tibaldi lo sa, noi eravamo nati e cresciuti sotto il fascismo,
non avevamo nessuna conoscenza, nessuna esperienza, però c'è
stato l'entusiasmo di sapere e di capire, di conoscere quello che era
stato il fascismo, cioè l'altra faccia della medaglia che noi
non conoscevamo e che abbiamo avuto la possibilità di conoscere
soltanto dopo il 25 luglio 1943. E magari da incoscienti, da ragazzi
come eravamo abbiamo fatto delle cose che poi ci hanno fatto pagare
con la deportazione. La deportazione
ci ha insegnato tante cose: l'incontro di vecchi compagni che avevano
conosciuto i tribunali speciali, il carcere speciale. Questi compagni
ci hanno aperto la coscienza, ci hanno fatto capire il perché
si sono fatte certe cose, le guerre. Ma chi era che partecipava a queste
guerre? Erano figli di operai, sia da una parte che dall'altra. E quindi
noi dobbiamo far capire questo ai ragazzi, noi dobbiamo cercare di elaborare
un discorso sintetico ma incisivo perché, come diceva prima l'altro
compagno, dobbiamo essere credibili. Credibili nella maniera più
succinta, in modo da dare il massimo spazio alla conversazione, al confronto,
al dibattito stesso che può nascere con i ragazzi.
Quando ci presentiamo nelle scuole dobbiamo sapere gestire le tavole
rotonde al termine di queste proiezioni, perché la domanda è
facile, da quelle immagini che si sono viste, sentirci domandare il
comportamento. dei kapò, o il comportamento delle SS, le condizioni
di vita. Ma spesso non ci viene data la possibilità di poter
dire quanto siamo cresciuti, la formazione di un ideale, il maturare
in noi quella coscienza che poi, come in Toscana abbiamo scritto nel
libro, "La speranza è la vita". Non è colpa nostra se
non abbiamo le orecchie attente ad ascoltare quella che è stata
la nostra esperienza, però questo non toglie che noi non si debba
ancora continuare questo nostro impegno, anche se ci costa tanto sacrificio.
Noi abbiamo avuto la perdita proprio in questi ultimi mesi di un carissimo
compagno che tutti conoscevano, il compagno Piero Scaffei, che sull'ultimo
"Triangolo Rosso" avete trovato la fotografia. La sezione di Firenze
si è trovata mutilata, non voglio esagerare, per il 50%, ma per
buona parte di quello che era l'impegno di Piero verso l'associazione
e verso gli studenti. Molti studenti che noi andiamo a incontrare rimangono
sorpresi di non aver saputo prima di quello che era accaduto a Piero.
Parliamo della Fondazione da tempo. Noi
vogliamo che la Fondazione si debba chiamare 1l progetto dopo di noi".
Dobbiamo costruire intorno a questo progetto il massir
dell'attenzione e della collaborazione;
dobbiamo fornire tutto quel materiale che da più parti si cerca
per mettere insieme un museo. Questo dovrà essere il nostro museo,
fornire documenti, dati, raccolte di testimonianze, tutti
quei particolari che possono servire a far conoscere quello che è
stato il sacrificio e l'impegno dei compagni caduti e di quei compagni
che sono tornati e che hanno continuato la loro azione e il loro impegno
a far conoscere ai giovani quella che è stata la propria esperienza.
lo non ho altro da aggiungere a tutto
questo. Vi faccio una comunicazione che a causa delle elezioni noi faremo
il pellegrinaggio anticipandolo di due giorni per sentirci impegnati
ad essere presenti per il secondo turno del 7 maggio per votare nei
casi dove vi sia necessità del ballottaggio.
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