Con il titolo
"Il Presente del Passato è la memoria. La deportazione dall'Italia
1943-1945" si è svolto, il 20 maggio, l'incontro organizzato
dall'Aned nell'ambito delle iniziative in occasione del Salone del Libro
di Torino.
La conversazione - che si è tenuta nello Stand della Regione
Piemonte dove sono state esposte le pubblicazioni di oltre dieci anni
di attività dell'Aned nell'ambito della ricerca storica - si
è incentrata sul tema della memoria e del ruolo formativo- informativo
nei confronti dei giovani.
All'incontro, presieduto dal professor Federico Cereja dell'Università
di Torino, hanno partecipato Grazia Davoli, Lucio Monaco e Bruno Maida
che hanno cercato di confrontarsi sullo stato dei lavori nonché
sul percorso ancora da compiere sul piano degli studi e su quello dell'impegno
civile.
Senza dubbio - ha sottolineato Cereja in apertura - il particolare e
proficuo incontro tra Aned di Torino e le istituzioni piemontesi, quali
la Regione e l'Università, ha determinato uno sviluppo degli
studi sulla deportazione che se, da una parte, è servito a interrogarsi
sull'emarginazione di tale argomento da parte della storiografia italiana,
dall'altra ha prodotto risultati di notevole valore. Soprattutto, il
taglio di dare voce ai testimoni - pur nell'ambito di una rigorosa metodologia
- si è tradotto in un salto di qualità proprio in quanto
la memoria è stata raccolta e tramandata. In questo senso, non
si devono dimenticare - sempre secondo Cereja - i viaggi organizzati
nei campi di sterininio che rappresentano un impatto emotivo spesso
traumatico ma, nel contempo, necessario per la comprensione del sistema
di oppressione nazista.
Il ritardo della storiografia italiana è stato ribadito da Maida
che si è soffermato su alcune tappe essenziali degli studi sulla
deportazione dal dopoguerra ad oggi, rilevando alcuni limiti delle ricerche
compiute, soprattutto negli anni meno recenti nonché l'esigenza
di uno sforzo maggiore sia in direzione della stesura di una storia
della deportazione (strumento sempre più indispensabile, tanto
più il clima politico si fa cupo, per storici, insegnanti e giovani)
sia in direzione di un approccio quantitativo che, ad oggi, ha fornito
importanti risultati ma per nulla esaustivi.
Un' impostazione, quella di Maida, non condivisa pienamente da Davoli
che, al contrario, ha rilevato la necessità di prendere in considerazione
un altro versante del problema, ossia quello della preparazione di genitori
ed insegnanti. E' necessaria una nuova alfabetizzazione, cioè
bisogna tornare ad alcuni concetti condivisi ma oggi dati troppo per
scontati. Vi è il rischio, secondo Davoli, di una sottovalutazione
del pericolo revisionista (intesa nella sua accezione più vasta
e quindi non solo nell'ambito storiografico bensì rispetto alla
permeabilità che sembra esservi a livello sociale e politico)
laddove il relativismo e l'emarginazione delle tematiche connesse alla
deportazione si muovono solo nell'interesse di chi vuole dimenticare.
E' un tema - quello dell'oblio, affiancato alla deformazione della storia
- che è stato al centro delle osservazioni di Monaco che ha preso
a pretesto un'intervista a Pisaṇ, apparsa sull' "Indipendente",
nella quale ha sostenuto che la Risiera di San Sabba sarebbe un'invenzione
e come tale da distruggere fisicamente.
Tale tesi - una sciocchezza che sarebbe da trascurare se non fosse per
la pericolosità del suo sostenitore - si fonda su una lettura
parziale e scorretta di un celebre volume di Bruno Piazza, "Perché
gli altri dimenticano", che Monaco ha messo in evidenza e contestato.
Una giusta sottolineatura per porre in evidenza l'esigenza di accostarsi
con maggiore impegno alla memorialistica - quella edita e non - che
probabilmente rappresenta lo strumento migliore per avvicinarsi ai giovani,
insegnargli senza pretese di indottrinamento, semplicemente rispondendo
alle loro domande.
B.M.
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