Dal romanzo di Simha Guterman
Dalla strada, il sentiero
si inerpicava, attraverso i campi, in direzione della foresta. Il sole,
già alto nel cielo, mi picchiava sulla testa e il mio zaino mi
doleva sulle spalle. Giunto in cima, me ne liberai e, slacciato tutto
il giubbotto, mi sedetti al limitare del bosco. Mi rimanevano ancora
alcuni chilometri da percorrere. Dal fondo della valle, una dolce brezza
profumata di fieno mi accarezzava il petto e il collo. L'abete, al cui
tronco ero appoggiato, odorava di resina fresca. Intorno, la foresta
emanava i suoi molti profumi. E davanti a me, a perdita d'occhio, si
dispiegava un paesaggio ridente di verdi praterie e di tappeti di gemme
dorate, immersi nel sole.
Ebbene, anche difronte a
quel panorama, il mio sguardo si attardava distratto. Ritornava sempre
afissare il medesimo punto, molto lontano, da dove ero venuto, dove
le rotaie, con una curva larga, correvano in direzione del ponte sulla
Vistola. Là, lungo la linea della ferrovia, da poco si ergevano
torrette in legno e posti di guardia muniti di mitragliatrici.
Mi misi in cammino, l'animo
preoccupato, il cuore in gola. Ci sarebbe stata o no la guerra? La Germania
non stava forse preparandosi a battersi contro il mondo intero? Era
insensato, suicida! E se il conflitto fosse stato comunque inevitabile?
Una cerbiatta spaventata
sbucò d'improvviso dal bosco attraversando il mio sentiero, e
mi distrasse un attimo. I noccioli che costeggiavano il viottolo formavano
come una volta. Al di sopra, le fronde si innalzavano verso un cielo
completamente limpido. Lontano, un minuscolo ruscello argentato scintillava
e una casetta isolata se ne stava, tutta bianca, nel mezzo di una prateria.
Chi aveva potuto mai costruirla? Sembrava posta là, come un piccolo
cerotto sulla guancia di una ragazzina, o come un giocattolo, dopo la
creazione del mondo, dopo che il ruscello era stato contornato dallaforesta
e la terra incappucciata da una volta azzurra.
In piedi, immobile, affascinato
da questo paesaggio, mi sentivo infimo e miserabile, un granello di
polvere, un verme della terra! Pensavo all'avvenire, era oscuro. La
tempesta stava per esplodere, e raggiungere questo regno di silenzio
e di pace, sconvolgere la quiete degli abitanti di quella casetta, rapirne
uno per trascinarlo sulle strade in fiamme dell'Europa e gettarlo in
tal modo nella tormenta? Perché? A causa di chi? Questa natura
placida e silenziosa rendeva ancor più manifesta lafollia che
incombeva minacciosa!
Il sentiero serpeggiava
in mezzo alla foresta. Lo conoscevo bene, percorrendolo ogni venerdì
per raggiungere la mia famiglia a Sendin, dove trascorreva l'estate.
Me ne ritornavo il sabato sera. Ma questa volta, mi sentivo estraneo,
smarrito, a metà della settimana, c'era in quei luoghifamiliari
qualcosa di insolito che mi sorprendeva: nei dintorni di Sendin, laforesta
era generalmente brulicante, animata dalle voci dei vacanzieri, dalle
grida dei vicini, dai giochi dei bambini. In una così bella giornata
di sole avrebbe dovuto risuonare di voci di gioia. Ebbene, ora sembrava
così deserta, come sefosse preda dell'inquietudine. Unico segno
di vita: la sedia a sdraio di YankI, il mio fratello infermo, e un'amaca
dalla quale spuntava una testa che prese a muoversi. Qualcuno scese
dall'amaca e mi corse incontro. Dal passo insicuro, seppi che si trattava
di Strach il Pescatore. Anche lui, di lontano, mi aveva riconosciuto.
Lo sentivo gridare: - Reb Yankl, c'è un ospite! Il tono era sorpreso
ma gioioso. Per l'emozione, dimentic_ di rispondere al mio buongiorno.
Non mi lasci_ nemmeno il tempo di salutare mio fratello, mi strinse
le spalle, scrut_ il mio sguardo, e grid_:
- Una parola! Sì o no?
- No, per il momento, la guerra
non c'è ancora, - risposi. |